Cultura

A Liveglia, ultimo rifugio della bellezza, una mostra e un memoriale per le vittime del virus

Si parte da Genova un sabato mattino, sfidando le code in A12: non ha detto forse la ministra dei Trasporti De Micheli, durante una visita in Liguria, “usciamo dalla narrazione del blocco delle autostrade”? E noi, fiduciosi, usciamo prima dalla narrazione, poi, indenni, dal casello di Lavagna, quindi prendiamo la provinciale, su su verso il passo del Bocco, e poi da lì, giù giù in provincia di Parma, quindi scendiamo su Bedonia, ridente cittadina emiliana affollata di villeggianti, ognuno con la sua brava mascherina.

Lì ci illudiamo di essere quasi arrivati e ci concediamo persino un’acqua minerale gasata in un bar, tentando stupidamente di berla con la mascherina. Poi riprendiamo la macchina, come il pellegrino riprenderebbe il bastone, svoltiamo per Monteceno dove ci accorgiamo con orrore che siamo ancora a chilometri da Liveglia, nostra meta finale. Un’ora dopo ci accorgiamo di essere arrivati giusto perché chiediamo a due ragazzi-angelo che stanno aggiustando un cartello e loro rispondono, ma è qui, stavamo aggiustando il cartello proprio per voi, come in un sogno, o in America di Kafka.

Che ci andiamo a fare a Liveglia, una mattina di fine agosto, mentre tutti si dedicano alle grigliate e agli assembramenti contagiosi di fine estate? Ci ha invitato Luciana Bertorelli, artista ligure nata qui, che a Liveglia ha organizzato una mostra en plein air, Liveglia Live, inaugurata un anno fa, e ora anche un monumento di pietre parlanti, Memorial 2020, per tutte le vittime del virus, installato il 18 agosto. Così oggi basta digitare sul pc “Liveglia” e Liveglia torna a esistere. Magari da qualche parte, in rete, si trova persino il servizio del Tg3 emiliano su entrambi gli eventi.

Immaginatevi un paesino di dieci anime, venti d’estate, a novecento metri sull’Appennino, e dinanzi a ogni casa, ogni stalla, ogni muro più o meno sbrecciato, l’opera di un artista, statue, bassorilievi, installazioni, a partire dalla “Pangea Acqua” davanti al cancello di casa Bertorelli passando per le trentatré opere offerte da artisti di tutto il mondo. C’è il piatto di Giovanna Crescini, dove danzano i pesci del vicino torrente, la donna d’acqua di Laura Peluffo, la meridiana di Salvatore Pino, l’universo infantile di Ylli Plaka, e anche l’installazione (due ruote di bicicletta su altrettanti basamenti) intitolata ironicamente “Fu-Turismo” da Rosanna La Spesa.

Proprio quest’ultima solleva la domanda a che cosa serva, tutta questa struggente bellezza? Al fu-turismo certamente no: Covid a parte, non ce li si vede i torpedoni di turisti giapponesi che risalgono l’Appennino sin qui, attirati da poche parole magiche in rete. Luciana risponde che una volta Liveglia era davvera viva (Live), ci venivano a fare feste da tutte le vallate intorno, e questo è un omaggio alla vita di allora, forse alla vita prima della pandemia o addirittura alla vita in generale. Oppure la domanda è sbagliata e, come sempre, aveva ragione Aristotele: inutile chiedersi a cosa serva la bellezza, sono le cose utili che servono alle cose belle, e non viceversa.