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Mediterraneo, gli equilibri cambiano e l’Italia sceglie la Turchia. Ma ci sono dei rischi

L’accordo di pace degli Emirati Arabi Uniti con Israele può essere visto anche alla luce dell’ ultra-espansionismo turco nel Mediterraneo orientale? E l’Italia quale terreno e con quali alleati ha scelto? Uno scacchiere in cui vanno tenuti in debita considerazione molti aspetti complementari. L’invasione turca della Siria settentrionale, la visita di Emmanuel Macron a Beirut dopo l’esplosione, l’offerta di Francia e Emirati Arabi Uniti di cofinanziare le riparazioni portuali, anticipando l’offerta della Turchia, il nuovo fil rouge del gas che lega Cairo, Atene, Nicosia e Tel Aviv.

Ma soprattutto la supremazia geopolitica in Libia, dove qualcuno inizia a pensare che Erdogan abbia agito “teleguidato” da Berlino: ma al di là di questo aspetto, è utile riflettere su come lo scacchiere che si va componendo nel Mare Nostrum si riverberi sull’Italia, sia in termini di effetti concreti, sia per quanto concerne le proiezioni nel medio-lungo periodo.

La scelta italiana di affiancarsi tout court ad Ankara avrà una serie di effetti: se di primo acchito Roma spera di raccogliere qualche briciola in quel di Tripoli, dove poteva avere ben altro ruolo, non può celarsi di contro la contingenza che si è strutturata in Libia. La Turchia ha di fatto sostituito l’Italia come player mediterraneo.

Roma può vantare un accordo con la Noc, il principale soggetto petrolifero libico per il tramite di Eni: una base di partenza che avrebbe potuto avere un punto di caduta molto più sostanzioso rispetto al ruolo secondario che l’Italia si appresta ad avere a quelle latitudini.

Inoltre dopo lo stupro di Santa Sofia, prosegue l’islamizzazione forzata di Erdogan in quella Istanbul che a seguito della vittoria del nuovo sindaco (Ekrem Imamoglu, simbolo di un vento anti Erdogan) prova a rialzare la testa ma si scontra col regime: un altro sito Unesco diventa moschea. Si tratta del Monastero di Chora, già Chiesa del Santissimo Salvatore, diventato museo nel 1958, ma l’anno scorso la Corte Suprema turca ha stabilito che doveva essere convertito in una moschea.

Uno scenario il cui successivo segmento si ritrova alla voce gas: il dossier energetico è di primaria importanza negli equilibri geopolitici del Mediterraneo, con l’accelerazione turca che sconfina nella violazione di leggi e trattati in Grecia e a Cipro. Nella vicinanza ideale con l’Ellade, Roma è stata superata da Parigi, che si sta ritagliando il ruolo di alfiere, assieme a Tel Aviv e Il Cairo, con i paesi arabi che fanno mostra di una migliore comprensione del ruolo della Turchia nella regione e agiscono di conseguenza (lo stesso non può dirsi dei partner europei).

Accanto al processo di pace in Medio Oriente ed alla situazione siriana dove l’Italia non ha mai avuto un ruolo, il dossier mediterraneo si complica e non si semplifica: l’acquisizione turca del porto di Misurata per 99 anni si traduce in una longa manus di Erdogan, accreditandosi come il deus ex machina a Tripoli.

Inoltre la missione Irini, varata per far rispettare l’embargo Onu sulle armi, presenta delle criticità oggettive dal momento che le armi giungono ugualmente (al pari dei mercenari di Ankara) e i droni turchi sono stati un jolly nella controffensiva pro Serraj.

Di contro, nel dossier energetico Berlino sta provando ad essere punto di equilibrio tra Grecia e Turchia, in un frangente in cui tutti i big in campo vorrebbero approfittare della vacatio Usa da qui alle elezioni presidenziali, che rappresenteranno un momento di verità.

Su queste basi analitiche appare evidente come l’Italia abbia dinanzi a sé una nuova grande sfida: nel tentativo di non perdere l’ultima occasione di giocare la partita mediterranea, dopo le contraddizioni del recente passato sulla postura poco euroatlantica e sulle interlocuzioni orientali, ha scelto la via turca (dopo la Via della Seta). L’auspicio è che abbia ben calcolato pro e contro.