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Trump, scontro con Pelosi sul voto per posta. Lui parla di “brogli” e taglia i servizi, la speaker convoca i deputati: “Una legge per impedirlo”

I Democratici accusano il presidente di voler sabotare i servizi postali per impedire alla gente di votare. E nel mirino finisce anche il direttore generale, Louis DeJoy: “Un complice e caro amico” del presidente, l’ha definito la Dem che ne ha chiesto le dimissioni

Vacanze estive terminate per i deputati statunitensi. La speaker della Camera, Nancy Pelosi, li richiama a Washington per votare “su misure di protezione del servizio postale”. Con l’avvicinarsi delle elezioni presidenziali di novembre, si intensifica dunque la battaglia intorno al voto per posta. I Democratici accusano Donald Trump di voler sabotare i servizi postali per impedire alla gente di votare. Trump nega e accusa i democratici di “brogli” per vincere a novembre. “Una crisi della democrazia americana”, la definisce Bernie Sanders.

L’intenzione di Pelosi, nel richiamare i deputati per il voto alla Camera, è quella di votare già questa settimana una legge che proibisca allo US Postal Service (Usps) di modificare il livello delle proprie prestazioni rispetto agli inizi del 2020. L’accusa della speaker è chiara. Trump, attraverso il direttore dei servizi postali Louis DeJoy – “un complice e caro amico” del presidente, l’ha definito Pelosi, con i Dem che chiedono le dimissioni – starebbe cercando di distruggere i servizi postali, tagliando i finanziamenti e riducendo il personale. “In tempi di pandemia, la Posta è fondamentale per le elezioni. Gli americani non dovrebbero scegliere tra la loro salute e il loro voto”, ha detto Pelosi.

Con l’emergenza coronavirus che non accenna a placarsi, un numero senza precedenti di elettori voteranno “in assenza” il prossimo novembre (erano stati il 21% dell’elettorato nel 2016, saranno molti di più nel 2020). In queste settimane gli Stati Usa sono subissati dalle richieste di americani che intendono votare per posta. Per questo, l’efficienza del servizio diventa un requisito essenziale. Le schede elettorali devono arrivare per tempo agli elettori e tornare alle commissioni elettorali, in modo da essere scrutinate nelle ore immediatamente successive al voto. Trump ormai da mesi mette in guardia contro il voto per posta, paventando il pericolo di brogli di cui, in realtà, non esiste prova. Secondo Heritage Foundation, un think tank conservatore, dal 1991 al 2020 negli Stati Uniti ci sarebbero stati soltanto 206 casi di frodi legate agli “absentee ballots”. Nessuna denuncia di furto a corrieri postali è mai stata presentata. Eppure anche sabato scorso il presidente ha lanciato l’allarme. Affidarci al voto per posta, ha detto, “ci renderebbe gli zimbelli del mondo”.

Il fatto è che Trump, come disse già lo scorso aprile in un tweet, è convinto che “i Repubblicani dovrebbero combattere con ogni mezzo il voto per posta. Non ha mai funzionato bene per loro”. Il timore è che il voto “in assenza” porti a una maggiore affluenza – soprattutto di giovani e afroamericani – favorendo così i Democratici. La cosa non ha un vero riscontro nei fatti. Di fronte alla minaccia del coronavirus, quest’anno potrebbero anzi essere gli anziani (un gruppo tendenzialmente più conservatore) a scegliere l’opzione postale. Trump è però pervicacemente convinto del contrario e ha, in queste settimane, preso misure per limitare il più possibile la possibilità di votare per posta. Di fronte a un debito dell’Usps di 160 miliardi di dollari, ha bloccato lo stanziamento di fondi per le poste americane. Ed è andato in Tv, da Fox News, rivendicando il gesto e mettendolo in relazione diretta proprio con le elezioni. “Se non facciamo l’accordo sulle poste – ha detto – vuole dire che non avranno i soldi. E se non avranno i soldi, non possono avere il voto per posta universale”.

I timori dei Democratici su un possibile sabotaggio del sistema sono stati rilanciati da alcune dichiarazioni del direttore delle poste Louis DeJoy, finanziatore del partito repubblicano e intimo amico di Trump, che l’ha nominato Postmaster General lo scorso 15 giugno. DeJoy ha messo in guardia su possibili disagi nei giorni del voto. Lo scorso luglio l’Usps ha anche inviato lettere ad almeno 15 Stati americani, lanciando l’allarme: il servizio postale Usa non può garantire che tutti i voti espressi per posta arrivino in tempo per essere conteggiati. Un disservizio che molti Dem e i sindacati attribuiscono ad alcune delle innovazioni introdotte da DeJoy per tagliare i costi: tra queste, bloccare gli straordinari, prepensionare i lavoratori e non consegnare la posta espresso nel caso questa ritardi le rotte tradizionali dei postini. Proprio i sindacati fanno notare che si tratta di un atto illegale. “Ci chiedono di violare la legge federale – ha spiegato la National Association of Letter Carriers del Texas – Per la first-class mail, esiste una legge federale che impone la consegna o il tentativo di consegna, nel giorno stesso in cui è ricevuta dall’ufficio postale”.

Nei giorni scorsi Louis DeJoy è stato convocato per un’audizione al Congresso. Quindi Pelosi ha rotto gli indugi e costretto i deputati a tornare a Washington per votare una legge. Ci sono alcuni tra gli stessi repubblicani, per esempio la senatrice del Maine Susan Collins, che chiedono di riaprire i rubinetti dei finanziamenti per l’Usps. Ma Trump si è mostrato sinora inflessibile. Qualsiasi cedimento sul voto per posta è, per lui, un modo per favorire la vittoria di Joe Biden. Il fatto è che il depotenziamento delle poste non colpisce soltanto i potenziali elettori. Come ha fatto notare Barack Obama, “tutti dipendono dal sistema postale. Gli anziani per le pensioni, i veterani per i farmaci, le piccole imprese per continuare a lavorare. I disservizi agli americani non possono essere il danno collaterale di un’amministrazione più interessata a sopprimere il voto che a sopprimere il virus”.