Società

Ho cenato da Alessandro Borghese e mi ha quasi reso felice. Peccato per il Nesquik!

“Quello che voglio è fare felici i miei clienti”, ma io, caro Alessandro, sono già felice, come la mettiamo? Però chi vuole darmi una felicità ulteriore mi è simpatico, quindi prenoto da Alessandro Borghese: il lusso della semplicità. Per prenotare bisogna dare il numero della carta di credito e l’email, arriva l’email di conferma con questa frase: non vediamo l’ora di accoglierla. Mi chiamano al telefono, c’è anche una conferma vocale, mi chiedono se io e Ethel abbiamo delle intolleranze ai cibi, rispondo che l’unica cosa che non tolleriamo sono i cibi cucinati male e che Ethel è vegetariana.

Arriva l’ora X. Siamo in via Belisario davanti alla nostra destinazione. Ethel fa questa osservazione: “Non sembra l’entrata di un ristorante, mi ricorda di più un albergo“. Non ha tutti i torti. Siamo in anticipo, ci facciamo un giretto nel supermercato che sta sotto il ristorante, più che altro per l’aria condizionata, a Milano fa un caldo insopportabile. Eccole le 19.30 finalmente, entriamo, ci accoglie una signorina sexy, le faccio vedere la prenotazione sullo schermo del cellulare: “Ah, lei è il gentile Ricky Farina, prego accomodatevi”. In effetti sono una persona gentile.

Facciamo le scale e arriviamo in una grande sala che assomiglia vagamente a un night club, c’è uno spazio aperto con vetrate sul lato sinistro, in fondo una cucina a vista, spaziosa e luminosa, e sul lato destro un bellissimo bar con dj set e musica rock ad un volume non invadente. Ci accoglie una signora elegante, con una sensualità tenue che mi permette di continuare a desiderare Ethel. Ci fa accomodare vicino alla vetrata. Il tavolo è senza tovaglia, ci sono dei poggia posate e una scultura in ceramica.
Le posate sono bellissime, quasi commoventi, verranno cambiate a ogni portata.

Arriva un uomo con una giacchetta stravagante e dei pantaloni neri, si chiama Giampiero, ci consiglia il menù da 4 portate, 90 euro a testa, escluse le bevande, è il più economico. Approvo con entusiasmo la proposta del simpatico Giampiero.

Ogni chef che si rispetti ha una sua filosofia, leggo sul menù una frase di Borghese: non esistono cibi afrodisiaci, ma cibi presentati e cucinati con sensualità. Mi sorge il primo dubbio: Borghese vuole rendermi felice o eccitarmi?

Andiamo a turno nel bagno, Ethel non riesce nemmeno ad azionare il getto d’acqua, si tratta di una semplicissima fotocellula, le diamo il beneficio del dubbio? Voglio credere a queste parole: “La fotocellula non funzionava”. Vado io, con me la fotocellula funziona, sono incuriosito da un piccolo box con spioncino e la scritta VIETATO GUARDARE.

Vietato guardare a me? Sono un guardone incallito, tutti sanno che ho le pupille gustative, quindi alzo lo spioncino e guardo. Non vi dirò mai che cosa ho visto, per saperlo dovete andare da Borghese.

La prima portata è in realtà uno stuzzichino di benvenuto, per Ethel una deliziosa polpettina fritta ripiena di patate, con basilico. A me arriva una striscetta (quasi inesistente) di speck di tonno con puntini colorati che dovrebbero essere salsine di accompagnamento.

Altra riflessione: Borghese appare in televisione come un uomo esuberante, sempre attento al fashion, ma nei suoi piatti c’è un’essenzialità rigorosa, quasi volesse controllare e in un certo senso “punire” la propria esuberanza; sto prendendo una deriva freudiana? e allora mi taccio, vorrei fare parlare il palato. Certo lo speck di tonno è così esile che passa quasi inosservato. Non mi sento ancora felice.

Arriva la prima vera portata, una rivisitazione di un classico anni Ottanta: cocktail di gamberi in salsa rosa. Resto spiazzato, mi trovo davanti a un oggetto di design. Del resto secondo Borghese il cibo deve essere prima elegante all’occhio e poi elegante al palato. C’è molta cura: un ciuffetto di insalata, un ciuffetto di salsa rosa, e due cialde che racchiudono mezzancolle sgusciate, nude, tremanti, rosse.
Sono felice? Non ancora, almeno non ho addosso la felicità promessa da Borghese, ho la mia solita felicità da passeggio, anche se sono seduto.

Ethel apprezza il suo cappellacio del cardinale, un tortellino di acqua e farina fritta, immersa in un brodo umami a base di funghi. Beviamo acqua e due calici di un vino bianco alsaziano molto buono. Giampiero mi avverte che ho scelto un vino caro, ma io non ho paura di nulla, voglio solo essere felice, e poi non è una bottiglia, sono solo due calici, quanto mai potranno costare? Arrivano finalmente i primi! A Ethel la famosa cacio e pepe, orgoglio dello chef, a me il raviolaccio con ragù scomposto. Scomporre è un verbo molto amato dagli chef moderni: dimmi come scomponi e ti dirò chi sei.

La cacio e pepe di Ethel è l’unico piatto che trasmette abbondanza e un senso di generosità, molto invitante e cremosa, sensuale, piccante al punto giusto, le manca un solo ingrediente per essere perfetta: Roma. Il mio raviolaccio scomposto ha in realtà una sua omogeneità di gusto, e scomporre mantenendo un senso di unità è sicuramente un gioco di prestigio non facile.

Con i secondi prendo anche un calice di vino rosso, un bel Chianti: “In omaggio a mia mamma che è toscana” dico a Giampiero che mi sorride. Il mio filetto di vitella con cipolla caramellata e frutta (albicocca? non ricordo) non è memorabile, non è abbastanza gustoso e sensuale: non mi eccita, il palato resta “barzotto”. Il secondo di Ethel è una polenta soffiata con formaggio cagliato da latte di mandorle, frutti di bosco e ciuffi di crema di barbabietole, lo chiamano crunch e si fa infatti sgranocchiare con allegria, non è proprio la felicità ma è un solletico gradevole.

Arriviamo ai dolci. Giampiero mi consiglia il tiramisù ed Ethel invece si fa affascinare da una sfiziosa meringata con panna montata fresca, accompagnata da un liquido marrone da bere a parte che sembra proprio Nesquik! Mi dico: ecco il lato fanciullesco di Borghese! Buonissima la meringata, ma il Nesquik no, no e poi no. Il Nesquik non è eccitante, non è sensuale! Infantilizza la meringata! Alessandro, mi cadi sul Nesquik! Insieme al mio tiramisù “incapsulato” (non male, ma senza svenimento) prendo un passito di Pantelleria superbo che mi rende “felice”. Finalmente sono felice, una felicità “appassita”, ma pur sempre felicità.

Bene, chiedo il conto, la felicità è fuggitiva, si sa, c’è un aforisma di Lalla Romano che così recita: la felicità non è, era. Leggo: 267 euro. Le chiappe mi si stringono subito, ma ormai è già entrato tutto dentro il… conto. Eccola la vera sensualità! Mi alzo a chiappe strette, saluto il caro Giampiero, nel corso della cena abbiamo fatto “amicizia”. Ci viene chiesto di dare un voto al menù come nel famoso programma televisivo, alla location, al servizio e al conto: sorvolo. Tanto ci scrivo un
articolo: questo.

Io e Ethel ci avviamo all’uscita e vedo l’immagine più bella: una bambina esplora con lo sguardo l’opera di un artista belga (Miguel Delie). Il “quadro” è un accumulo luminoso di cianfrusaglie per bambini. Dico alla responsabile di sala che è una bellissima opera d’arte, e lei ci confida un segreto, ci porta davanti all’opera e indicandoci una piccola area ci dice con una punta di malizia: “L’artista ha inserito all’interno dell’opera un oggetto da adulti, vediamo se riuscite a individuarlo”. Saranno le chiappe ancora strette per via del conto, ma io non riesco a individuare nulla di osceno e nemmeno Ethel, e questo mi preoccupa. Allora ci viene indicato con gesto di ineffabile eleganza un fallo rosa, un innocente fallo rosa, a riposo, mimetizzato tra le cianfrusaglie, non inquietante, nemmeno per la bambina, ignara di questa piccola oscenità. “Se questo ristorante è il lusso della semplicità, l’opera è la purezza dell’oscenità“, suggerisco alla responsabile di sala che apprezza divertita la mia battuta.

Il fallo rosa a riposo mi rilassa, anche le mie chiappe si rilassano, forse sono pronto per un’altra, per un’altra… come chiamarla? Meglio non chiamarla. Bacio Ethel, scendiamo le scale. Ci accoglie l’afa terribile di una Milano elegante e spietata.

Tutto sommato, a parte il Nesquik e i 24 euro al calice, è stata una bella serata, un caro saluto chef, un carissimo saluto, ma molto meno caro del conto. Che sapore ha la felicità? Torno a baciare Ethel per ricordarmelo.