Politica

Il museo del fascismo non si farà, al M5s romano dico: la storia va raccontata, ma non col ‘fai da te’

Le polemiche seguite alla proposta di istituire a Roma un “Museo del Fascismo”, in una mozione poi ritirata dalla stessa promotrice, la consigliera pentastellata Gemma Guerrini, hanno riacceso il dibattito sulle ambiguità del M5S rispetto al fascismo.

Va detto che la sindaca Virginia Raggi ha sempre dichiarato il suo antifascismo, continuando la tradizione dei “Viaggi della Memoria”, battendosi contro l’occupazione abusiva del movimento di estrema destra Casapound – subendo per questo minacce e intimidazioni -, sostituendo l’intitolazione di 3 strade romane che portavano il nome di firmatari del Manifesto della razza, con altrettanti scienziati che si rifiutarono di sottoscriverlo.

Un’iniziativa approvata dalla maggioranza pentastellata capitolina, che tuttavia, solo pochi mesi prima, in concomitanza con il cinquantesimo anniversario delle leggi razziali, aveva votato una mozione di Fratelli d’Italia per la dedica di una strada a Giorgio Almirante, che aveva fatto parte della redazione della rivista La difesa della razza, anche se in seguito il M5S aveva fatto marcia indietro approvando una mozione che escludeva dediche toponomastiche a fautori del fascismo o del razzismo.

Allora avevo commentato che la vicenda “più che rivelare connotazioni ideologiche dei consiglieri capitolini M5S – sull’antifascismo in verità non sempre chiare – ha mostrato un certo deficit di conoscenza e di memoria”. E io credo che anche questa vicenda faccia emergere tutti i limiti di una classe politica che non ha un patrimonio di valori condivisi, ma che in molti casi “naviga a vista”, spesso in ordine sparso, e che insieme a una “politica nuova” ha la pretesa – la presunzione – di inventare proposte azzerando tutto il passato, come se non ci fosse gente che ha vissuto, elaborato, tentato, lottato, costruito, prima dell’era pentastellata.

La mozione Guerrini poi ritirata, nelle premesse dichiara “che l’attuale Amministrazione si prodiga nel supporto alla cultura antifascista”, e si appella alla “necessità di contrastare il negazionismo e l’ignoranza ancora diffusa sui fatti accaduti nella prima metà del Novecento in Italia durante il regime fascista” per giungere alla paradossale proposta della “realizzazione di un grande ‘Museo sul Fascismo’ di tipo storico-didattico collegato a un centro studi di alto livello scientifico per raccontare tutti gli aspetti del regime fascista in maniera esplicativa, utilizzando anche le nuove tecnologie digitali… che abbia il valore catartico al pari delle altre consimili realtà museali già presenti in altri paesi europei”.

Peccato che le stesse realtà museali citate nella mozione non si chiamino “Museo del nazismo”, ma “Centro della memoria e della Resistenza tedesca”, “Musei della Resistenza”, “Museo Anna Frank”, o Musei del popolo ebraico. Persino il citato “Museo sulla dittatura di Salazar in via di costruzione”, con un minimo approfondimento sul web si scopre che in Portogallo ha suscitato forti proteste, soprattutto da parte di ex prigionieri politici del regime e attivisti antifascisti, che “considerano tale progetto un’offesa alla memoria delle vittime della dittatura e un oltraggio alla democrazia”.

Se solo la consigliera Guerrini avesse avuto un minimo, se non di umiltà, almeno di buon senso, avrebbe prima di tutto condiviso la sua idea con l’Anpi e altre realtà di impegno antifascista, per concordarla insieme a chi ha dedicato una vita alla Memoria. Invece ha preferito l’“Antifascismo fai da te”.

E anche dopo il ritiro della mozione ha continuato a rivendicare la validità del suo progetto sostenendo “che il Paese ha ancora paura della verità”. Del resto Guerrini non è nuova alle polemiche: famosa la sua battaglia contro il Cinema America in piazza San Cosimato, che le è costata la vicepresidenza della Commissione cultura dopo aver dato dei “feticisti” ai frequentatori dell’Arena, rei di apprezzare “la reiterata proiezione, giorno dopo giorno, di vecchi film che hanno in comune soltanto il fatto di essere famosi”.

E anche la sua battaglia per trasformare la Casa Internazionale delle Donne, in un burocratico centro di coordinamento a gestione comunale con la messa a bando dei servizi. E non va dimenticato che la “Commissione delle elette” da lei presieduta, è stata trasformata dal nuovo Statuto pentastellato in “Commissione Pari opportunità”, di cui fanno parte anche consiglieri maschi.

Tutte iniziative che, messe insieme alla linea portata avanti dalla maggioranza cinquestelle su altri fronti – come il nuovo regolamento delle concessioni dei beni indisponibili di Roma, su cui ho intenzione di tornare – testimoniano la profonda frattura culturale tra un certo mondo pentastellato e la tradizione di impegno sociale – antifascista, femminista – delle realtà di area sinistra e centrosinistra, considerate da molti esponenti M5S un passato da archiviare, facendo una sorta di “tabula rasa” da cui solo i Cinquestelle possono ripartire, senza ascoltare e senza confrontarsi. Anche quando non mostrano di avere né la visione, né la competenza, né l’esperienza.

Ma voglio concludere con una notizia che induce a un cauto ottimismo, sull’ascolto e sull’antifascismo: oggi approda in Assemblea capitolina una mozione con la proposta dell’intitolazione della nuova stazione metro dell’Amba Aradam – nome di una sanguinosa battaglia in Etiopia – al giovassimo partigiano italo-somalo Giorgio Marincola, proposta sostenuta anche da Carteinregola, insieme alla richiesta di inserire all’interno della stazione uno spazio dedicato al racconto della terribile e sconosciuta pagina coloniale italiana. Una storia che dovrebbe essere raccontata in tanti luoghi, ma dalla parte delle vittime, e non come sala di un museo sulle imprese del fascismo.