Musica

‘Mi ero perso il cuore’, il primo album da solista di Cristiano Godano ha il valore di una rinascita

È un disco personale, tutt’altro che accattivante, ma che ha il valore di una rinascita Mi ero perso il cuore, primo album da solista del frontman dei Marlene Kuntz, Cristiano Godano. L’artista cuneese si mette a nudo nel labirinto della propria coscienza, per cercare il filo conduttore di una dignità diventata cara quanto la propria vita.

“C’era molto stimolo artistico nell’ottenere le frasi più aderenti possibili alle sensazioni e ai sentimenti che avevo in testa – spiega Godano – e quando si agisce così, facendolo sulla propria pelle, mettendosi in gioco, c’è un imbarazzo in più e qualche difficoltà che creano una specie di mix fra piacere e turbamento”.

Composto da 13 brani alt-rock (su tutti Ti voglio dire e La mia vincita), il primo lavoro in solitaria di Godano è una orgogliosa affermazione del fare musica in modo genuino, canzoni in cui il songwriter cuneese spazia fra i ricordi, molti, i rimorsi, qualcuno, e le richieste d’aiuto, con uno stile che ha affinato negli ultimi dieci anni durante i quali ha pubblicato libri, redatto articoli, composto poesie.

Un disco in cui Godano cerca in modo empatico di ottenere l’attenzione di chi l’ascolta, e lo si evince da canzoni come Nella Natura, un pezzo che è una sorta di Sos che lancia – Quante volte capita di dirsi ‘Devo ritrovare me stesso’? “Un uomo di normale sensibilità può spesso percepire di non essere del tutto a fuoco nella sua quotidianità e di doversi ritrovare: quel testo è da circoscrivere al momento in cui io raccontavo questo sentimento, proprio perché ero reduce da un mio passaggio nella natura. Era un periodo della mia esistenza dove mi ero perso il cuore e quel passaggio aveva acuito la consapevolezza di tutto ciò ed è stato utile per capire quanto la natura sia salvifica e ha una sua potenza. C’è la parola poetica che prende il sopravvento e amplifica una sensazione con parole che sono pesanti come pietre”.

Affronta, poi, non senza difficoltà, il rapporto padre-figlio (“Credo di aver definitivamente toccato con mano che la genetica esiste, perché mio figlio sta riproponendo esattamente il modus comportandi che avevo io con i miei genitori. Riconosco che c’è una certa difficoltà nel gestire il rapporto, pensavo che la mia dimensione di artista – sempre a contatto con un mondo speciale, particolare, popolato anche di giovani, e il non dover timbrare il cartellino come la maggior parte – potesse avere su di lui una certa fascinazione, ma non c’avevo capito un cazzo… Ma almeno, con non poche difficoltà sono riuscito a dargli la dimensione della riflessione”).

Dal sound prevalentemente acustico, in Mi ero perso il cuore “l’obiettivo – spiega Godano – era raggiungere un’intensità del tocco con vibrazioni intense, ispirato da un virtuoso della chitarra come Neil Young. Non sono andato a sviluppare i miei funambolismi sulla tastiera della chitarra, come faccio di solito, e suono molto senza plettro: questa per me è una novità. A differenza di quando suonavo coi Marlene Kuntz, dove il plettro era una sorta di martello che brandivo sulle corde per ottenere un certo stridore, in questo disco invece ho cercato l’intensità della delicatezza”.