Società

“Usiamo la cucina emiliana per includere chi ha sindrome di Down o autismo. Così è più facile affrontare il mondo”

La lanterna di Diogene, nata come cooperativa nel 2003, oggi dà lavoro a 26 persone dai 20 ai 40 anni, che hanno anche psicosi e paralisi. Tre i rami di cui si compone l'azienda: un laboratorio socio-occupazionale, un ristorante e un campo agricolo. "Tutti provano la dignità di esser stati capaci di fare un pezzetto di lavoro”

“Volevamo costruire un’attività che includesse tutti, dove potessero lavorare anche persone con sindrome di Down, psicosi, paralisi, con autismo. Così abbiamo iniziato a pensare cosa ci piaceva fare: coltivare la terra, allevare gli animali e trasformare tutto questo in piatti da offrire ai clienti in un’osteria”. Nel 2003 è nata la cooperativa, nel 2006 la taverna. Si chiama La lanterna di Diogene, si trova a Solara di Bomporto (in provincia di Modena) e dà lavoro complessivamente a 26 persone. “Tutto quello che ci dà la terra viene trasformato in piatti – racconta Giovanni Cuocci, cuoco e ideatore del progetto –. La nostra cucina è quella tipica emiliana, semplice e genuina, con sapori ormai dimenticati, un luogo legato alle tradizioni e allo scambio dove incontrare la diversità”.

Tutto è nato dal sogno di quattro ragazzi, che in un vecchio casale sotto l’argine del fiume Panaro trasformano in pietanze il proprio amore per la terra. “Quando abbiamo iniziato l’avventura non avevo un mio percorso professionale – ricorda Giovanni –. Ho pensato di darmi da fare, sono andato a lavorare per un periodo in un ristorante per farmi le ossa. E poi mi sono detto: ‘Oh, ma qualcosa di diverso possiamo farlo, proviamo a farlo’”. Il concetto è semplice: non lamentarsi, ma fare: “Tutti ci dicevano che era impossibile: e invece noi siamo andati avanti”.

La Lanterna ha tre rami d’azienda: un laboratorio socio-occupazionale, un ristorante e un campo agricolo. Il ristorante è aperto tutti i weekend, dal venerdì alla domenica. “In estate apriamo tutti i giorni. Tendiamo a non esagerare con i ritmi”. La giornata è ricca d’impegni: ci si vede tutti alle 9 per un caffè e la colazione intorno al tavolo. Poi ci si divide in gruppi: chi va in cucina, chi nell’orto, chi si occupa degli animali. Una psicoterapeuta dirige i lavori nelle cucine per preparare il piatto preferito dai clienti, i tortelloni. “Qui i ragazzi sono assistiti dalle sfogline del paese, le signore che, anche grazie al laboratorio, hanno recuperato la memoria della lavorazione secondo la ricetta di quand’erano bambine”. Anche il pranzo si consuma tutti insieme: “Siamo oltre 25, e questo ci fa stare bene”. Poi, la sera, la preparazione della sala e della cucina in vista dell’arrivo degli ospiti.

Il profilo dei partecipanti? L’espressione massima della diversità: tutte le persone hanno professionalità, percorsi o patologie diverse. L’età media va dai 20 ai 40 anni. “Abbiamo cercato da sempre di dare spazio alla diversità – continua Giovanni –. Insieme i ragazzi si danno una mano a vicenda: così è più facile affrontare il mondo. Raccolta della frutta, trasporto vassoio, tavolo. In un’ora invece di fare 4 tortelloni, ne facciamo 40. Tutti provano la dignità di esser stati capaci di fare un pezzetto di lavoro”.

Giovanni insiste nel sottolineare un concetto: “Il nostro progetto è l’esempio lampante che qualcosa di diverso si può fare. Io non sento di lavorare con persone con patologie: per me è uno scambio, ci diamo una mano a vicenda, e lo facciamo da 17 anni”. “Volevamo fare un lavoro vero, stare bene insieme”, raccontano i ragazzi protagonisti. “Questo è un compito che mi dà dignità”, continua Simona, una dei 4 soci iniziali.

Durante la pandemia Giovanni è rimasto bloccato in Colombia. “Eravamo lì per adottare un bambino”, racconta. Le attività della Lanterna invece sono andate avanti “nonostante le fantasie catastrofiche di qualche utente”, riprendendo a fine maggio. La parte agricola “ha continuato a ricevere richieste”.

L’obiettivo è quello di replicare il progetto in altri contesti, in altre realtà e regioni. Sono venuti ragazzi a conoscere la storia della Lanterna dalla provincia vicina, quella di Reggio Emilia, ma anche da Campobasso, dalla Sicilia. “Nel 2019 siamo stati nei Paesi Baschi, a San Sebastian per raccontare la nostra avventura”, aggiunge Giovanni. All’inizio le persone si avvicinavano alla Lanterna incuriosite: “L’aspettativa che avevano era quella di vedere ragazzi con la sindrome di Down che, compiacenti, porgessero pietanze. Abbiamo fin dall’inizio voluto spiegare a tutti che cercavamo invece la nostra dignità e professionalità”. Oggi i ragazzi si dicono soddisfatti del cammino fatto e dei risultati ottenuti: il piccolo gruppo iniziale è aumentato e “stiamo contagiando altri con la nostra dignità”, sorridono. “Ad Atene Diogene girava con la lanterna in pieno giorno perché cercava non l’essenza astratta dell’uomo, ma l’uomo autentico e reale, perché contrario alle apparenze. È dentro questa ricerca che noi stiamo. E io – conclude Giovanni –, mi sento un moderno Diogene”.