Giustizia & Impunità

Omicidio Cerciello Rega, Lee Elder resta a processo. La perizia psichiatrica: “Imputabile perché capace d’intendere e di volere”

Il 20enne statunitense è accusato di omicidio volontario - insieme al suo coetaneo e connazionale, Gabriel Natale Hjorth - per la morte del carabiniere originario di Somma Vesuviana, aggredito nella notte fra il 25 e il 26 luglio 2019, nel quartiere Prati di Roma, insieme al suo collega Andrea Varriale, mentre i due erano in servizio in borghese nel tentativo di effettuare un “cavallo di ritorno” e recuperare lo zaino sottratto dagli americani a Sergio Brugiatelli, presunto mediatore di alcuni pusher di Trastevere

Finnegan Lee Elder era “capace di intendere e di volere” e per questo “è imputabile”. La perizia psichiatrica non fa sconti. L’autore reo-confesso dell’omicidio del vicebrigadiere, Mario Cerciello Rega, resta a processo in quanto “non è possibile dimostrare che sia stata compromessa la libera capacità decisionale del soggetto”. Il 20enne statunitense è accusato di omicidio volontario – insieme al suo coetaneo e connazionale, Gabriel Natale Hjorth – per la morte del carabiniere originario di Somma Vesuviana, aggredito nella notte fra il 25 e il 26 luglio 2019, nel quartiere Prati di Roma, insieme al suo collega Andrea Varriale, mentre i due erano in servizio in borghese nel tentativo di effettuare un “cavallo di ritorno” e recuperare lo zaino sottratto dagli americani a Sergio Brugiatelli, presunto mediatore di alcuni pusher di Trastevere.

Gli psichiatri su Elder: “Antisociale per droga e stress, ma capace di decidere” – In realtà, i professori Stefano Ferracuti e Vittorio Fineschi, che hanno svolto l’attività peritale, hanno riscontrato in Elder una “persona che presenta un disturbo di personalità borderline-antisociale di gravità medio elevata, una storia di abuso di sostanze (in particolare Thc) e un possibile disturbo post-traumatico da stress”. Il profilo psicologico del ragazzo era in parte già emerso durante la fase d’indagine, in cui i pm si sono trovati a visionare il contenuto degli smartphone dei due ragazzi. Nonostante questa “diagnosi”, tuttavia, i periti ritengono che non sia possibile “dimostrare che la condizione mentale accertata nell’Elder abbia compromesso la libera capacità decisionale del soggetto al momento del compimento dell’azione delittuosa”. Dunque, si ritiene che Elder “sia da valutarsi come imputabile all’epoca dei fatti”.

Varriale in aula: “Ci qualificammo come carabinieri” – Uno dei nodi fondamentali del processo sarà verificare se Elder e Hjorth erano in grado di capire che Cerciello e Varriale fossero due uomini delle forze dell’ordine. La linea difensiva punta a dimostrare che quella notte i due ragazzi credevano che i militari fossero in realtà degli spacciatori chiamati a rinforzo da Brugiatelli e che quindi si sentissero in pericolo. Questo avrebbe giustificato il possesso dell’arma – un coltello da guerra di 18 centimetri – e scatenato, in particolare, la furia di Elder, che ha rifilato 11 fendenti al carabiniere. Ma Varriale, durante l’ultima udienza, ha ribadito quanto affermato sin dalle ore successive all’aggressione: “Ci avviciniamo ai due e tiriamo fuori il tesserino dicendo che eravamo Carabinieri”. E ancora: “Dopo esserci qualificati ho riposto in tasca il tesserino. Mario ha fatto la stessa cosa. Abbiamo fatto quello che facciamo sempre. Loro non avevano nulla in mano. Noi andavamo a identificare due persone. I due ci hanno immediatamente aggrediti”. Tutto sarebbe durato pochi secondi: “Cerciello che urlava ‘fermati, carabinieri‘ e aveva un tono di voce provato”.

Il giallo della pistola: “Non la portavamo per praticità” – Altro tema che ha da subito fatto rumore è quello della pistola d’ordinanza. I due carabinieri quella sera non ce l’avevano, l’avevano lasciata nei rispettivi armadietti. “Dovevamo avere la pistola ma per praticità e perché dobbiamo mimetizzarci l’arma è più un problema, non mi è mai capitato di doverla usare nei servizi nella zona della movida”, ha detto Varriale. Per poi spiegare: “La Beretta pesa oltre un chilo ed è lunga 25 centimetri. Io ero vestito con una polo, dei jeans e le scarpe da ginnastica. Il nostro obiettivo, quando facciamo quel tipo di servizio, è confonderci tra la gente e mimetizzarci. La zona di competenza era quella che va da Ponte Sisto, Campo de’ Fiori e piazza Trilussa, il turno era dalla mezzanotte alle sei di mattina. Giravamo a piedi perché i controlli sull’attività di spaccio non si possono fare in auto”.

Malore in aula per il suocero di Cerciello, ricoverato al Santo Spirito – Durante l’udienza è stato fatto ascoltare un file audio riguardante la chiamata ai soccorsi fatta da Varriale subito dopo il ferimento di Cerciello. L’audio però contiene anche le urla disperate del militare sopravvissuto e quelle che probabilmente sono state le ultime parole del carabiniere deceduto. Un turbinio di emozioni alle quali potrebbe non aver retto Mario Esilio, padre della vedova Rosa Maria: l’uomo ha avuto un malore ed è stato portato all’ospedale Santo Spirito dove è in prognosi riservata per una sospetta lieve ischemia. “Papà papà pure tu, non mi lasciare”, ha gridato in aula la donna, prima che arrivassero i soccorso. “Mario era orfano – racconta Massimo Ferrandino, legale della famiglia – e il suocero gli ha fatto da padre. Erano legatissimi. Ora ci auguriamo che si ristabilisca presto, c’è molta preoccupazione”. L’udienza è stata ovviamente sospesa.