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Regionali, tra candidati “anni ’90” e “impresentabili”: nel centrodestra l’accordo sui candidati è indigesto. Lega: “Stop ai Cesaro in Campania”. Forza Italia: “Pensino a chi hanno hanno imbarcato loro”

Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi hanno trovato faticosamente la quadra sulle candidature del settembre prossimo. Ma è un accordo evidentemente forzato, visto che alla fine porta allo scoperto malumori mai sopiti. A lamentarsi, tra frasi sussurrate alle agenzie di stampa e dichiarazioni ufficiali, sono soprattutto i leghisti. Il motivo? Almeno tre: i nomi scelti come aspiranti governatori dagli alleati, il rischio di candidature di "impresentabili", e poi il numero di candidati presidenti riservato al Carroccio, praticamente lo stesso ottenuto da Fratelli d'Italia

Nei comunicati ufficiali la definiscono la “squadra migliore per vincere le elezioni nelle Regioni”. Ma cinque minuti dopo, nel centrodestra è subito – di nuovo – tutti contro tutti. Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi hanno trovato faticosamente la quadra sulle candidature del settembre prossimo. Ma è un accordo evidentemente forzato, visto che alla fine porta allo scoperto malumori mai sopiti. D’altra parte l’intesa era attesa per la scorsa settimana, ma all’ultimo è saltata. Fonti interne raccontano di una riunione infuocata fra i tre leader venerdì pomeriggio su Skype, dopo che era già saltato un confronto previsto per il mattino. Sul tavolo sembra fossero presenti altri nomi nella stessa rosa dei candidati azzurri per il seggio più discusso, ovvero quello di aspirante governatore della Campania, vero e proprio casus belli. Alla fine, però, i berlusconiani hanno tenuto il punto: il loro candidato sarà – per la terza volta – Stefano Caldoro. Stessa cosa per Fratelli d’Italia in Puglia: Meloni ha tenuto duro e imposto Raffaele Fitto.

Il maldipancia della Lega – Alla fine a lamentarsi, tra frasi sussurrate alle agenzie di stampa e dichiarazioni ufficiali, sono soprattutto i leghisti. Il motivo? Almeno tre: i nomi scelti come aspiranti governatori dagli alleati, il rischio di candidature di “impresentabili” (soprattutto in Campania nelle liste di Forza Italia), e poi il numero di candidati presidenti riservato al Carroccio, praticamente lo stesso ottenuto da Fratelli d’Italia. Salvini si rifarà nella scelta degli aspiranti sindaci delle grosse città. Ma per il momento deve farsi bastare la ricandidatura annunciata – e assolutamente obbligata – di Luca Zaia in Veneto. E sperare nell’impresa in Toscana, dove dopo mille smentite impone la sua pupilla: Susanna Ceccardi, già sindaca anti rom di Cascina, poi promossa al Parlamento europeo. Quindi, alla fine, nella spartizione delle poltrone il primo partito della coalizione ha avuto lo stesso peso del secondo e del terzo, se consideriamo Giovanni Toti di area Forza Italia, anche se ora il governatore ricandidato in Liguria si è fatto il suo movimento, Cambiamo.

Minestre riscaldate e “facce anni ’90” – Numeri a parte, però, è la “qualità” delle candidature che non piace in via Bellerio. Più volte Salvini ha chiesto agli alleati “rinnovamento“, “discontinuità“, facce nuove, non “da anni ’90“. Risultato? Nelle Marche correrà Francesco Acquaroli, deputato di Fratelli d’Italia, già consigliere regionale e candidato governatore perdente: nel 2015 arrivò addirittura terzo (ma era sostenuto solo da Fdi e dalla Lega). Non è una “faccia anni ’90”, però il precedente da sconfitto non è ben visto. Peggio ancora – per il leghisti – è la situazione in Puglia, dove Meloni impone la candidatura di Fitto. Politico di lungo, lunghissimo corso, sembra l’identikit del candidato “anni ’90” indigesto a Salvini. Figlio d’arte – il padre Salvatore fu presidente tra il 1985 e il 1988 – cresciuto nella Dc, è poi passato con i Popolari, con il Cdu, fino all’immancabile Polo delle Libertà. Tra i primi delfini di Berlusconi, sotto le insegne di Forza Italia è stato governatore della Puglia dal 2000 al 2005: quella è l’ultima vittoria del centrodestra, prima dei mandati di Nichi Vendola e Michele Emiliano. Promosso ministro – per due volte – con l’ex cavaliere a Palazzo Chigi, l’ex enfant prodige dello Scudo crociato ha recentemente smesso i panni dell’antico democristiano per svoltare a destra e passare addirittura con Fratelli d’Italia, che alle ultime europee è lo ha eletto a Bruxelles.

La terza volta di Caldoro – Per la Lega una faccia come quella di Fitto è “inadeguata” a competere con Emiliano. Come “inadeguato” viene definito Caldoro che correrà in Campania: è la terza volta dal 2010. E sempre contro Vincenzo De Luca. Dieci anni fa l’ex socialista convertito al berlusconismo vinse le regionali contro l’ex sindaco di Salerno, cinque anni dopo uscì sconfitto sempre dallo stesso candidato del Pd. Adesso i due si giocano la bella. “La candidatura di Caldoro è una vittoria di Silvio Berlusconi che lo aveva proposto già mesi fa”, esulta la senatrice Licia Ronzulli. Affermazione che non lascia spazio a molte interpretazioni e che non deve aver fatto piacere agli alleati, tant’è che poi è stata corretta dai vertici azzurri in un più ecumenico: “Caldoro è il candidato di tutti“. Giusto per smorzare l’idea che l’ex cavaliere in realtà abbia stravinto, se si considera che – oltre a Toti – pure lo stesso Fitto arriva dalle sue file. E stiamo parlando di un partito che per i sondaggi ha di gran lunga la metà dei voti di Fdi, e meno di un terzo di quelli della Lega.

In Campania il caso impresentabili. Lega: “No ai Cesaro” – I leghisti non hanno gradito. E Nicola Molteni, spedito da Cantù a fare il segretario in Campania, apre le ostilità: “Liste di qualità, stop all’egemonia dei Cesaro in Campania. Obiettivo è dare un taglio al malgoverno della sinistra anche in Campania e costruire una classe dirigente di qualità, per confermare le buone ricette della Lega anche in questa splendida regione che merita grandi cose anziché i Mastella, i De Luca o qualche impresentabile che danneggia il centrodestra”. Molteni pronuncia proprio quella parola, “impresentabile”, e lo fa dopo aver citato i Cesaro, il cui capostipite – Luigi, alias “giggino a purpetta“- è il senatore di Forza Italia che per la procura di Napoli è “l’interfaccia del clan Puca. Suo figlio, Armando, è capogruppo dei berlusconiani in consiglio regionale e recordman di preferenze alle ultime regionali: difficile pensare che Forza Italia lo tenga in panchina. Domenico De Siano, coordinatore campano del partito azzurro, replica prima di subito: “Il lombardo segretario regionale della Lega in Campania o è in mala fede o è male informato. Ci meraviglia, perché garantisti, che in fatto di impresentabilità sia così poco documentato su Forza Italia e sugli ex di Forza Italia che non ha esitato ad imbarcare nel suo partito in Campania, mentre con piglio giustizialista che non trova uguali neppure tra i grillini più sfegatati, finge di ignorare che dalle nostre parti, ma non dalle sue, non c’è neppure un condannato”. Insomma, non esattamente i toni che si usano tra alleati che hanno appena trovato l’accordo per la “squadra migliore per vincere le elezioni nelle Regioni”.

Leghisti alle comunali – E in effetti, come capita spesso in ogni trattativa che si rispetti, l’intesa finale è stata raggiunta grazie a un allargamento dei capitoli da discutere. Già da un paio di settimane, nei comunicati ufficiali, era emersa la parola magica, le elezioni comunali. Così, la Lega, dopo aver subito Fitto e Caldoro, ha ottenuto – oltre ai vice di Campania e Puglia – che siano suoi uomini a candidarsi nelle città più grosse, fra cui Reggio Calabria Andria, Chieti, Macerata, Matera, Nuoro. Alla fine in via Bellerio provano pure a usare toni entusiastici: “La Lega punta al mezzo milione di cittadini delle città del Centrosud che andranno al voto da settembre, a partire da Reggio Calabria dove l’obiettivo è eleggere ‘il sindaco del Ponte“. Che però, come è noto, non esiste. Ma almeno su questo a destra sono tutti d’accordo.