Scienza

Coronavirus, l’epidemia e l’ipotesi del fattore geografico e delle condizioni ambientali. I ricercatori: “Ma non sappiamo ancora perché”

Sono mesi che gli scienziati, osservando la ferocia che l'epidemia di coronavirus ha mostrato in determinate parti del pianeta, cercano una spiegazione

Effetto clima, incidenza delle latitudine o dell’inquinamento. Sono mesi che i ricercatori, osservando la ferocia che l’epidemia di coronavirus ha mostrato in determinate parti del pianeta, cercano una spiegazione. Che ancora non c’è. Però il fattore geografico potrebbe aver in qualche modo giocato un ruolo nell’eccesso di mortalità registrato per esempio in Lombardia. Nelle regioni del Nord esisterebbero “condizioni ambientali che negli scorsi due mesi hanno reso aggressiva e mortale l’infezione da coronavirus che è risultata assai più leggera nelle altre regioni d’Italia, dove questo ‘fattore geografico’ diminuisce fino ad un minimo. La qualità di queste condizioni ambientali, tragicamente sfavorevoli nel Settentrione, non sono ancora note“, le conclusioni a cui è arrivato lo studio firmato da Roberto Ronchetti, professore emerito di Pediatria dell’Università Sapienza di Roma e da Francesco Ronchetti, medico dell’ospedale Parodi di Colleferro, in fase di pubblicazione su un numero speciale delle rivista ‘Epidemiologia e Prevenzione’.

“A livello mondiale esiste una fascia geografica, compresa circa tra 30° e 50° di latitudine Nord, nella quale assieme ad epidemie lievi, si è verificato il 90% delle epidemie classificate come gravi: la pianura Padana e l’intera Italia appartengono a quella zona geografica“, prosegue la ricerca. “Non è la prima volta che una tale associazione tra patologia virale e geografia viene ipotizzata a livello epidemiologico – avverte lo studio – Al momento della nostra richiesta di pubblicazione ed ancora oggi queste osservazioni epidemiologiche sulla relazione clima-infezione non sono state pubblicate. Dopo quasi tre mesi, molte epidemie nel pianeta si sono sviluppate e molte si sono concluse per cui è il momento di tentare la conferma dell’esistenza di un mal definito ‘fattore geografico’ in grado di condizionare la gravità delle infezioni causate dal nuovo virus”. “Lo studio – osservano i due ricercatori – ha utilizzato le curve epidemiologiche di tutte le regioni italiane per tentare di capire se, in una nazione compresa nella già citata fascia 30°-50° latitudine Nord le curve epidemiche appaiono uniformi oppure sotto l’influenza di un fattore geografico“.

“I dati riportati inequivocabilmente stabiliscono che l’epidemia da coronavirus che ha colpito l’Italia ha una gravità estrema al Nord, gravità che progressivamente diminuisce scendendo verso le regioni meridionali. A questo punto si deve, ovviamente, rispondere al quesito del perché il Nord ha pagato un prezzo estremamente superiore all’infezione di un virus che, in modo simultaneo, dopo il suo sbarco in Lombardia, ha generato curve epidemiche in ogni area del nostro paese – affermano Roberto Ronchetti e Francesco Ronchetti – Sembra fin dall’inizio doversi escludere l’ipotesi che il virus, sperimentato al Nord, sia in qualche modo diverso, più infettivo, più aggressivo, con capacità letali diverse dal virus che invece ha colpito le popolazioni meridionali”.

“In nessuna delle oltre 350 epidemie che si sono verificate nel pianeta, mai è stata avanzata l’ipotesi che il virus, diffusosi a livello mondiale nell’arco di due-tre mesi, abbia presentato mutazioni così importanti da modificarne in modo significativo le sue capacità infettive. Contro l’ipotesi di differenze tra il virus che ha colpito Nord e Sud sta il fatto assai importante che la diminuzione della gravità dell’epidemia è progressiva per cui se il virus fosse diverso nelle varie località dovremmo immaginare numerose modificazioni che giustifichino la gravità progressivamente differente in ogni regione”, spiegano i due ricercatori. “Poiché in Italia le politiche di contenimento dell’infezione sono state regolate in modo identico da decreti dell’autorità nazionale, non si può avanzare l’ipotesi che tali misure possano spiegare la discrepanza della gravità delle epidemie – osservano – Dobbiamo ammettere che l’ipotesi più ragionevole è che, nelle nostre regioni del Nord, esistano condizioni ambientali che negli scorsi due mesi hanno reso aggressiva e mortale l’infezione da virus al Nord che è risultata assai più leggera nelle altre regioni d’Italia dove questo ”fattore geografico” diminuisca fino ad un minimo”.

“Negli stessi giorni in cui abbiamo sottoposto per la pubblicazione il nostro articolo, altri autori iraniani-statunitensi hanno messo in rete un ‘pre-print’, con osservazioni analoghe alle nostre, attribuendo alla temperatura e all’umidità, il fatto che, nella fascia 30°-50° di latitudine Nord il virus possa essere molto più pericoloso”. “La ricerca scientifica farà certamente luce sulla natura del fattore geografico che abbiamo descritto. Riteniamo tuttavia che sia difficile immaginare che ci siano a breve progressi tali che ci mettano in grado di rimuovere il pericolo territoriale, prima che nel dicembre-gennaio prossimo venturo il virus – concludono – come tutti i virus respiratori, farà la sua nuova comparsa. È urgente, quindi, imparare dagli eventi degli ultimi tre mesi, quello che abbiamo sbagliato e che cosa avremmo dovuto fare in modo differente”.