Diritti

Perché rimuovere la statua di Indro Montanelli non ha senso e sarebbe un pericoloso errore

di Monica Lanfranco e Nadia Somma

Perché secondo noi chiedere di rimuovere le statue, o imbrattarle, o distruggerle, sebbene si comprenda il potente sollievo immediato, ma effimero, dell’azione catartica demolitiva è un errore pericoloso e una pratica nociva?

Per diversi motivi, che proviamo a enumerare per condividere il disagio che ci coglie nel vedere un dibattito pubblico che di recente, a partire dalla vicenda di Indro Montanelli, vede in campo solo voci maschili che ci sembra fatichino a cogliere alcuni nodi del problema riducendo tutto ad un confronto pro o contro.

La querelle sulla rimozione della statua di Indro Montanelli chiesta dai Sentinelli di Milano non ci appassiona oggi come non ci appassionò due anni fa, quando alcune femministe di Nudm – Non una di meno gettarono vernice rosa sulla statua situata nei giardini di Milano a pochi passi dal luogo dove venne gambizzato dalle Brigate Rosse. Da qualche giorno la questione della rimozione della statua è tornata al centro di polemiche dopo le proteste per la morte di George Floyd e l’ondata iconoclasta contro monarchi o colonizzatori che ne è seguita, ha attraversato gli Stati Uniti, l’Inghilterra e il Belgio con l’abbattimento o l’imbrattamento di statue tra le quali quella di Winston Churchill a Westminster (Londra) su cui è stato scritto “razzista” mentre la richiesta di rimozione da parte dei Sentinelli prende spunto da una trasmissione televisiva: L’ora della verità, nel 1969.

Intervistato da Gianni Bisiach, Montanelli ricordò l’invasione dell’Etiopia e l’acquisto di una sposa 12enne, Destà, poi ceduta ad un attendente e da lui descritta, in altri contesti, con parole difficili da ascoltare: un ‘animalino docile’. Durante la stessa intervista, Elvira Banotti, una militante femminista di origine eritrea, seduta tra il pubblico, gli rinfacciò di aver commesso uno stupro nei confronti di una 12enne e svelando l’indicibile provocò l’interruzione della trasmissione. La domanda – “In Europa si direbbe che lei ha violentato una bambina di 12 anni, quali differenze crede che esistano di tipo biologico o psicologico in una bambina africana?” – colpì con forza Montanelli che rimase disorientato dall’accusa di stupro perché le parole di Banotti erano deflagrate inaspettatamente nello studio televisivo facendo franare la narrazione compiaciuta sulle memorie della guerra e sull’acquisto di una sposa “molto bella e ben scelta’’.

La vicenda di Montanelli si inscrive in una Storia collettiva e millenaria, quella dell’esercizio del potere e del dominio maschile sui corpi delle donne e sui corpi di uomini e popoli, vinti e sottomessi, privati di terre, identità e risorse. Un dominio che è stato possibile esercitare attraverso due pratiche costanti di de-umanizzazione: il sessismo e il razzismo.

Quello che Montanelli narra nel lontano 1969 non riguarda solo la storia della colonizzazione e dell’invasione dell’Etiopia e tantomeno la vicenda dell’acquisto della sposa può essere archiviata come un accidente che appartiene a “consuetudini odiose ma considerate normali all’epoca”, come scrive Gad Lerner sul Fatto quotidiano nel botta e riposta con Marco Travaglio.

L’avvocato Andrea Coffari, presidente dell’associazione Movimento per l’Infanzia, denunciando “la falsa coscienza civile” ha ricordato che anche in Italia l’articolo 152 del codice civile, in vigore nel Regno delle due Sicilie, permetteva i matrimoni con bambine e che oggi, nei tribunali civili italiani è diventato difficile difendere i diritti delle vittime di violenza familiare mentre la legittimazione dello stupro è una storia recente tutta italiana, perché fino al 1967 lo stupratore poteva cancellare il reato (considerato fino al 1997 come atto immorale) sposando la vittima.

Questo avveniva nel passato, ma oggi, nel 2020, nelle teocrazie islamiche i matrimoni combinati tra fanciulle minorenni e uomini adulti sono legali, e la vicina Turchia di Erdogan, che vuole entrare in Europa, ha recentemente legittimato i matrimoni con bambine di 9 anni. Sono violazioni dei diritti umani che una parte dell’opinione pubblica tende a ignorare in nome dell’astensione del giudizio su “usanze e costumi locali”. Il turismo sessuale nei Paesi poveri, del quale gli italiani sono tra i maggiori fruitori europei, vede coinvolte migliaia di bambine comprate da insospettabili padri di famiglia e bravi cittadini e nelle nostre strade milioni di uomini comprano, senza farsi troppe domande, giovani donne vittime della tratta della prostituzione che provengono dall’Africa, proprio dalle terre che furono colonizzate. Infine, nelle nostre campagne, forse sotto i nostri occhi, ci sono nuove schiavitù di uomini e donne alle quali spetta anche la schiavitù sessuale, come accade alle braccianti rumene. Eppure tutto quello che ci circonda, oggi, proprio qui ed ora, non sembra scuotere le nostre coscienze.

Perché, allora, distruggere statue non ha senso? Perché cancellando le vestigia, vogliamo rabbiosamente cancellare quello che fa male, nell’illusione di avere vinto sul male, mentre il male è ancora tra noi. Distruggere una vestigia non la cancella, ma rimuove, questo sì, dalla nostra vista qualcosa che ci fa stare scomode, ne riduce il fastidio e ci colloca in un fasullo comfort dello sguardo, esteriore ed interiore, che agevola la rimozione, forse lenisce qualche senso di colpa ma ci allontana dall’affrontare il problema.

Pensiamo invece che quello ‘stare scomode e scomodi’ sia la chiave per aiutarci a non cadere nell’errore fatale di dimenticare che il sessismo, il razzismo e la violenza non sono lontani ricordi ma la realtà purtroppo ancora viva e palpitante sul pianeta.

A rinforzo della utilità delle vestigia vorremmo ricordare che esistono nel mondo associazioni femministe, come Il Mediterranean women fund, che organizzano visite in alcune città ai monumenti che raffigurano le protagoniste della storia dei diritti. Dovremmo usare lo stesso criterio per accostarci alle statue di sovrani, generali, dittatori per intraprendere l’attraversamento doloroso e scomodo di una storia antica che incide e riscrive la nostra quotidianità con le stesse dinamiche di potere e dominio in una coazione a ripetere che non fermeremo con atti di rimozione o abbattendo statue ma acquisendo la consapevolezza delle relazioni feroci, unilaterali e ingiuste che si instaurano tra esseri umani e delle visioni che le rendono possibili.

@nadiesdaa
@monicalanfranco