Mafie

Sicilia, l’ex deputato accusato di mafia vuole Renzi testimone al processo. Tra le accuse il viaggio alla Leopolda rimborsato dall’Ars

I legali di Paolo Ruggirello, ex consigliere regionale di centrodestra passato con il Pd nel 2015, hanno citato anche l'ex presidente del consiglio tra i testimoni della difesa. Un elenco di 90 persone, tra cui Vittorio Sgarbi, l'ex sottosegretario renziano Davide Faraone e l'allora presidente dell'Assemblea regionale siciliana, Giovanni Ardizzone. Tra le contestazioni a Ruggirello anche il viaggio a "titolo privato" alla kermesse simbolo dei renziani nel 2016, ma rimborsato dalla Regione siciliana come "incontro con i familiari delle zone terremotate"

“Siamo pronti per andare a Firenze, questa sera parto, così mi faccio questo…c’è la Leopolda“. Era il 4 novembre 2016 e l’ex deputato regionale siciliano Paolo Ruggirello annunciava entusiasta il suo viaggio alla kermesse simbolo dei renziani. Altri tempi visto che di Ruggirello è di recente rientrato in carcere dopo essere guarito dal coronavirus. In manette è finito nel marzo del 2019, accusato di associazione mafiosa. È proprio per difenderlo da quell’accusa che i suoi legali hanno chiesto al giudice di Trapani di ascoltare durante il dibattimento anche Matteo Renzi, l’ex premier che lo accolse nel Pd tra il 2015 e il 2016. Erano gli anni in cui i renziani allargarono il Partito democratico a tutta una serie di transfughi del centrodestra, utili perché titolari di consistenti pacchetti di preferenze anche in vista del referendum costituzionale. Ruggirello era uno di questi: nel 2016 ilfattoquotidiano.it pubblicò la sua foto in compagnia di Renzi, in visita in Sicilia. Quattro anni dopo il rapporto tra un politico nazionale e il suo leader nazionale si sposta nelle aule di tribunale con il primo accusato di mafia che chiede al secondo di testimoniare a suo favore.

Oltre al leader di Italia Viva, tra i testi della difesa è stata chiesta l’audizione di novanta persone, tra cui Vittorio Sgarbi, l’ex sottosegretario renziano Davide Faraone e l’allora presidente dell’Assemblea regionale siciliana, Giovanni Ardizzone. Tutti personaggi politici frequentati per anni da Ruggirello. Lo stesso Renzi incontrò il deputato trapanese durante la Leopolda del 2016. Quel viaggio in Toscana durò tre giorni e nonostante fosse a “titolo privato”, le spese vennero pagate dalla Regione siciliana, rimborsato come “incontro con i familiari delle zone terremotate“. In udienza l’ex deputato renziano – con dichiarazioni spontanee in videoconferenza dal carcere di Santa Maria Capua Vetere – è tornato a parlare di quella trasferta, scorrendo l’elenco dei deputati incontrati alla Leopolda. I giudici hanno chiesto un chiarimento per trentuno dei testimoni chiesti dai legali e lui, nel corso del suo intervento, è tornato a raccontare del suo ingresso nel Pd, dopo i lunghi trascorsi nel centrodestra siciliano.

“Presentagli anche l’istanza al presidente Ardizzone della mia missione su Pisa 4,5,6..ci metti Pisa e zone terremotate”, diceva intercettato il giorno prima della partenza. Ma dal gabinetto della presidenza chiedevano i dettagli della missione. “La motivazione…a Pisa incontro con…come si chiama? l’amministrazione comunale…poi ci metti – aggiungeva alla sua assistente – ad Assisi ci metti incontro per…con i familiari delle zone terremotate, ci metti Umbra incontro nelle zone terremotate”. Secondo i pm della Dda di Palermo (procuratore aggiunto Paolo Guido, sostituti procuratori Gianluca De Leo e Claudio Camilleri) in quell’occasione Ruggirello ne approfittò sia per andare alla Leopolda che per incontrare un’amica fuori dalla Sicilia.

L’episodio emerge sullo sfondo di una sfilza di accuse che ripercorrono il profilo dell’ex deputato dal 2006 fino al blitz Scrigno, in cui i carabinieri arrestarono 25 persone tra cui i capi della mafia di Trapani. Nell’atto di accusa i pm evidenziano i rapporti con le famiglie mafiose della provincia, compresa Castelvetrano, attraverso quel Lillo Giambalvo (consigliere arrestato ma assolto per mafia) al centro delle vicende che portarono poi allo scioglimento del comune. Evidenziando una costante frequentazione con Carmelo Salerno, presunto capo della famiglia di Paceco, processato con il rito abbreviato, per cui è stata chiesta al gup di Palermo la condanna a 18 anni di carcere. Chiesti vent’anni ciascuno invece per i tre presunti capi della famiglia di Trapani, i fratelli Francesco e Pietro Virga (figli del boss Vincenzo, arrestato da latitante nel 2001) e Franco Orlando, storico uomo d’onore che aveva trasformato il suo bar nel quartier generale della mafia trapanese: per mesi le microspie dei carabinieri registrarono il via vai di politici locali. A loro Ruggirello avrebbe chiesto il sostegno elettorale in occasione delle regionali del dicembre 2017. L’accordo è stato confermato anche da Pietro Cusenza, uno degli arrestati che decise di collaborare con i pm palermitani.

“Ho partecipato infatti ad un incontro, avvenuto circa 15 giorni prima delle elezioni tra Paolo Ruggirello, Carmelo Salerno e Pietro Virga, presso l’abitazione della figlia di Salerno, ubicata in una zona chiamata Belvedere”, disse Cusenza, che a quell’incontro però non prese parte. “Dopo Pietro Virga mi confidò – si legge in un verbale dei pm della Dda di Palermo – che avevano concluso un accordo per 50mila euro, da dare in tre tranches, nonchè per futuri lavori da affidare ad un imprenditore di Buseto Palizzolo“. “La prima parte, pari a 20mila euro, fu consegnata effettivamente da Paolo Ruggirello”, “ma fu Salerno a consegnarmi la somma in una busta, trattenendo per se 5 mila euro, quale parte del complessivo accordo, io consegnai poi la somma a Pietro Virga che però non gradì l’iniziativa di Salerno”. Poi l’affare saltò, l’ordine di voto non venne impartito: e Ruggirello alle regionali del 2017 non venne eletto. Poco dopo finì agli arresti.