Capitoli

  1. Cambiamenti climatici? Tutti green ma solo a parole. Ecco come media e politici pompano l’ambientalismo, ma nascondono notizie scomode ai grandi inquinatori
  2. IL CASO ENI
  3. TUTTI CAMPIONI
  4. PANICO DA ECOTASSA
  5. MALEDETTE BOTTIGLIETTE
  6. GATTOPARDI VERDI
Ambiente & Veleni

PANICO DA ECOTASSA - 4/6

Sui quotidiani si inneggia al "Nuovo '68" dei giovani che reclamano la svolta verde. Ma le notizie sgradite ai grandi inquinatori sono nascoste in poche righe - Riproponiamo, all'indomani della giornata mondiale dell'Ambiente e delle celebrazioni su giornali, siti e televisioni, l'inchiesta pubblicata su FqMillennium nel novembre 2019

Sul fronte dell’ipocrisia climatica, l’industria automobilistica trova un complice insospettabile nel sindacato. Quando nel gennaio 2019 il governo Conte annuncia un’ecotassa per favorire l’acquisto di auto meno inquinanti, ancora il Corriere rilancia il grido di dolore del segretario della Fim-Cisl, Marco Bentivogli sui «centomila posti di lavoro» che sarebbero messi a rischio dal nuovo balzello. “Ecotassa, favorite solo automobili straniere. Penalizzati 14 modelli Fca” è il titolo del 16 gennaio. Ma a leggere bene l’articolo, si scopre che molti dati sono sballati. Dei 14 modelli, ben 9 appartengono al marchio Maserati, con prezzi di listino che partono da 72mila euro per la meno lussuosa e un target che difficilmente si fa scoraggiare da un superbollo. Poi sono incluse auto con emissioni minori di quanto previsto dal provvedimento (la Fiat 500 X 2000 diesel, peraltro fra le motorizzazioni meno vendute di quel modello), in una generale confusione fra modelli nuovi e vecchi, che hanno emissioni differenti. Il 27 settembre 2019 la segretaria generale della Cisl Annamaria Furlan annuncia ufficialmente l’adesione della Cisl alle manifestazioni “Friday’s for Future”: “Un grazie di cuore a Greta e ai tanti giovani che reclamano un futuro. Salvaguardare l’ambiente, la natura, mettere al centro la vita umana ed il lavoro è quello che chiediamo anche come Cisl”.

La politica è un altro pilastro su cui si regge il greenwashing: quando le lobby pagano, i legislatori si allineano. Il recentissimo rapporto “Corporate Carbon Policy Footprint” del centro studi InfluenceMap ha analizzato il lobbying nel 2017 delle 50 società più influenti a livello globale: 35 erano contrarie all’agenda politica sul clima. BP, Chevron, ExxonMobil, Shell e Total, cinque tra le maggiori compagnie mondiali quotate del settore fossile che insieme tra il 1988 e il 2015 hanno causato il 7,4% di tutte le emissioni globali di gas a effetto serra, dal 2010 a oggi hanno speso oltre 250 milioni in lobbying e dal 2014 hanno incontrato per 327 volte commissari e funzionari Ue per ritardare, indebolire o sabotare le politiche sul clima. A febbraio il rapporto “Stati catturati: quando i Governi della Ue sono un canale per gli interessi delle aziende” del centro studi Corporate Europe ha fatto emergere che, grazie al meccanismo della rotazione delle presidenze nazionali, dal 2014 Grecia, Austria, Olanda, Polonia, Spagna, Germania e Regno Unito – ma anche altri Paesi – hanno veicolato nelle politiche Ue interessi di lobby, in particolare per manipolare proprio gli obiettivi climatici per il 2030 a favore di imprese e associazioni di settore.

Non stupiscono dunque episodi come quello andato in scena alla Camera il 15 maggio, quando Enel ha presentato alla commissione Attività produttive i suoi passi rispetto alla Strategia energetica nazionale del 2017 al Piano nazionale energia e clima per il 2030, richiesto dall’Unione Europea. L’azienda elettrica ha sciorinato cifre e impegni – compreso lo spegnimento degli impianti a carbone entro il 2025 – ma dai forum online sulla mobilità sostenibile spuntano le lamentele dei proprietari di auto elettriche plug-in: le tariffe di ricarica alle colonnine Enel X sono di 45 cent a kilowatt per un pieno o di 25 euro per abbonamenti da 60 kw al mese. La stessa Enel vende l’elettricità per gli usi domestici a 22 cent per kw. Fra i deputati nessuno ha battuto ciglio.