Società

Papa Francesco ha incontrato la nostra Barbara: una storia bellissima, contro ogni stereotipo

È una storia romantica e bellissima, con due protagonisti accomunati dall’aver saputo rompere ogni stereotipo. Barbara, detenuta nel carcere romano femminile di Rebibbia e calciatrice della società Atletico Diritti, è stata ricevuta da Papa Francesco. Si è presentata con addosso la maglia della squadra, gli ha portato in dono un gagliardetto, gli ha letto una sua poesia e lui l’ha paragonata a Trilussa. L’occasione è stata data dalla presentazione dell’iniziativa ‘We run together’, volta a raccogliere fondi per alcuni ospedali strategici nell’emergenza Covid-19.

Atletico Diritti è una società polisportiva di cui mi onoro di essere presidente. Copre il calcio, la pallacanestro e il cricket. È stata fondata nel 2014 dalla mia associazione, Antigone, insieme all’associazione Progetto Diritti e con il sostegno dell’Università Roma Tre. Nelle nostre squadre, tutte iscritte a tornei ufficiali federali tranne una, giocano persone detenute o ex detenute, ragazzi migranti e richiedenti asilo, studenti universitari. Un luogo di contaminazione, dove si mischiano esperienze diverse, dove si impara che esistono prospettive che non si sarebbero mai immaginate prima, dove la solidarietà passa facilmente da dentro a fuori il campo da gioco.

“Finalmente si parte”, racconta Barbara nel suo diario di quella mattina in Vaticano. “Io mi aspettavo la macchina di servizio, ma non è stato così, e la mia emozione saliva sia perché ero stata scelta per rappresentare la squadra, ma soprattutto perché in quella macchina con la mia ‘scorta’ mi sono sentita non una detenuta, ma una giocatrice di calcio a 5 che andava in udienza dal Papa, e questo grazie anche a chi era con me, che mi ha trattato benissimo e con assoluto rispetto e professionalità: mi hanno dato fiducia lasciandomi spazio, e io ho cercato di dare il meglio di me e ricambiare il rispetto”.

La sola squadra di Atletico Diritti che non disputa un torneo federale è anche l’unica che gioca interamente dentro un carcere: la squadra di calcio a cinque femminile di Rebibbia. Il campo del carcere non è a norma per gli standard della Figc e dunque le ragazze, fino all’inizio dell’emergenza sanitaria, hanno disputato un torneo Csi, con il permesso di giocare tutte le partite in casa.

L’alchimia tra l’entusiasmo della nostra società, la bravura delle nostre allenatrici e la stupenda gestione del carcere, caratterizzata da tempo da direzioni eccezionali e da operatori aperti e intelligenti, ha dato il massimo: il calcetto là dentro è diventato il simbolo della rottura di un modello, dello stereotipo femminile della detenzione, dell’idea della donna detenuta piangente con un qualche uomo che aspetta all’esterno e incapace di prendere in mano la propria vita. “Se possiamo migliorare in un campo da gioco allora possiamo farlo anche fuori”, è lo slogan di Barbara e delle altre ragazze.

“Più ci avvicinavamo a San Pietro più l’emozione saliva, non facevo che pensare a cosa avrei detto al Santo Padre, come mi sarei rapportata a lui, quali fossero le parole da usare in sua presenza, cosa lui mi avrebbe chiesto”. La trafila per entrare in Vaticano, una stanza, poi un’altra stanza, poi un’altra ancora. “

Eccolo, è lui, il Papa che si avvicina a noi e tutto fa tranne quello che ci avevano detto”. Qualcuno può mai sorprendersi di questo? Ha mai fatto, Papa Francesco, quello che ci si aspettava da lui? “Non segue nessuna etichetta né protocollo, fa ciò che si sente di fare e con molta tranquillità e semplicità”. Parla con Barbara, la ringrazia di essere venuta, lei gli dice di aver scritto una poesia per l’occasione, lui risponde che sarebbe felice di ascoltarla.

Papa Francesco in questi anni è stato la guida politica e spirituale più forte che il mondo abbia avuto. Lo è stato rompendo ogni schema precedente, mettendo in difficoltà gerarchie vaticane paludate, trascorrendo nel carcere minorile di Casal del Marmo il primo giovedì santo del suo pontificato, sostenendo i centri di accoglienza per migranti, mandando il proprio elemosiniere a riallacciare la luce di uno stabile occupato, dando parola al carcere davanti a tutto il mondo in una incredibile Via Crucis. Non è stato e non sarà mai un Papa. Sarà solo e sempre Papa Francesco, un unicum di una storia millenaria.

Nella loro storia personale, Barbara e le altre ragazze di Atletico Diritti hanno portato avanti un’analoga rivoluzione. Se il carcere vive di stereotipi, ciò è forse ancor più vero per il carcere femminile e per quel grande etichettamento che viene dato dal mondo esterno a ogni donna che con la commissione del reato non ha risposto alle aspettative che l’intera società aveva su di lei.

Nelle carceri femminili si organizzano sostanzialmente attività considerate femminili (la cucina, la sartoria…). Nelle carceri femminili non era mai accaduto che un gruppo di donne sentisse di star riprendendo in mano la propria vita attraverso il calcio.

“Letta la mia poesia il Santo Padre mi sorride, si alza dalla sua poltrona e mi ringrazia con tanta commozione facendomi molti complimenti e paragonandomi a Trilussa, che tra l’altro è il mio preferito!”. Dai Barbara, tira in porta!