Cultura

“Non si esce più, che viaggio”. Dalla chiusura della porta nel giorno 1 ai nostri corpi trasformati del 50esimo: ironia, paure e umanità nelle cronache dal confinamento dello scrittore Éric Chevillard

In esclusiva su ilfattoquotidiano.it alcuni estratti dal libro "Sine die, cronache dal confinamento" (Prehistorica editore) che raccoglie gli interventi dell'autore tra il 19 marzo e il 12 maggio 2020 per il giornale francese e poi rilanciati dal suo blog L’Autofictif

“Sine Die, cronache del confinamento” raccoglie il diario che lo scrittore francesce Éric Chevillard ha pubblicato su Le Monde durante il lockdown per coronavirus. In Italia è diventato un libro, pubblicato in anteprima mondiale dalla casa editrice Prehistorica editore, in libreria dal 28 maggio e presto disponibile in ebook. Ilfattoquotidiano.it ne pubblica in esclusiva alcuni estratti.

AVVERTENZA
Ma io sono del tutto d’accordo con voi: non abbiano più alcuna voglia di sentire parlare del Covid-19, alcuna voglia, appena usciti dal confinamento, di farvi ritorno. È ancora un po’ presto per la nostalgia di questa epoca benedetta. Da un libro soprattutto, ci aspettiamo piuttosto che oggi ci apra orizzonti immensi e tersi, che ci inondi di luce chiara, che ci porti in giro nei grandi spazi propizi alle corse e agli incontri. Ci occorre ossigeno, a raffiche, a tempeste, per dimenticare le nostre brutte tossette. Non sanno di buono le nostre tane d’orso, odorano di scapolo impenitente, di vedova, e persino
vedova di scapolo impenitente.
Un libro sul coronavirus, per pietà, non ancora, non di già, oppure ne taglieremo via la rilegatura per fare un ventaglio con le pagine staccate e scacciare agitandolo i miasmi dalle nostre dimore, sollevarci i capelli che non sanno più volare, riempirci i polmoni di aria fresca.
Allora, d’accordo.
D’accordo per il libro ventaglio.

Eppure questo volume raccoglie, cucite pezzo dopo pezzo, le cronache che ho scritto tra il 19 marzo e il 12 maggio 2020, dapprima per il giornale “Le Monde” che mi chiese un testo al giorno per le prime tre settimane del confinamento, poi per il mio blog, L’Autofictif. Ho accettato la proposta di Prehistorica di pubblicarle fin d’ora in Italia – mentre l’epidemia non è vinta, mentre il virus miete ancora numerose vittime e l’avvenire è quanto mai incerto – perché questo Paese, uno dei più precocemente e violentemente scossi, mi sta profondamente a cuore, e, soprattutto, perché ho la vanità di credere che possa essere, se non molto istruttivo, almeno vagamente comico per il lettore italiano, in preda agli stessi affanni e agli stessi tormenti, vedere uno scrittore francese attaccarsi nella catastrofe alle proprie frasi come a dei rami o a delle radici mentre tutte le nostre rappresentazioni del mondo vengono stracciate e risucchiate nell’abisso di colpo aperto sotto i nostri piedi. (…)

GIORNO 1
(…) Non si esce più, che viaggio! Da me c’è giusto un corridoio che mi riprometto da sempre di percorrere fino in fondo. È giunto il momento di queste esperienze. Un bidet ingombra il bagno, avrò il tempo di iniziarmi a quella pratica antica e dimenticata, di ritrovare i gesti semplici dei nostri padri. Sobbalzare fino al soffitto, ci avete già veramente provato? E a sbattere la testa contro i muri? C’è così tanto da fare in una casa.

Fuori, si aggira l’orribile virus irto di antenne sensibili che captano la nostra presenza a più di un chilometro di distanza – come lo squalo la goccia di sangue nell’immensità del mare – e di palpi vischiosi per pendere dalle nostre labbra, come un ardente innamorato. Orde di pangolini rabbiosi si diffondono per le strade tossendo il loro veleno e, non appena cala il giorno, sono i pipistrelli a precipitarsi sul passante per starnutirgli nell’incavo del gomito. Non siamo più al sicuro se non a casa.

Chiudiamo bene la porta. Le spingiamo davanti la credenza del salotto. Sulla credenza, impiliamo le enciclopedie. Su questa pila, facciamo sedere i nostri bambini. E, nelle mani di questi portatori sani, lasciamo peluches infarciti di piombo. Il villino Casa mia per piccina che tu sia è ribattezzato Fort Alamo. Home, sweet home ridiventa il nostro fiero motto. Lo dipingiamo a lettere d’oro sugli scudi e sulle portiere delle nostre automobili in panne. (…)

Chevillard con l’editore di Prehistorica e traduttore Gianmaria Finardi al FestivaLetteratura di Mantova 2019

GIORNO 4,5
Come distinguere i brividi di paura dai brividi di febbre? Prendiamo la minima sensazione per un sintomo allarmante. Ricordo dunque che è normale tossire quando l’osso o la lisca della sirena baciata e abbracciata di traverso vi scortica la gola. Quando uno scaffale carico di romanzi di Alexandre Jardin le cade sopra, è normale avere mal di testa. Ricordo anche che l’orgasmo non fa parte del quadro clinico della malattia.

Ma non sono più fiero. La mosca contro il vetro è la mia fronte che ronza, mi ausculto con timore, anche inquieto di non avere né guanti né mascherina: e se finissi per attaccarmi l’infezione tastandomi così febbrilmente? Nella misura del possibile, in questo momento, evito qualsiasi contatto con me stesso. Già è molto avventuroso il solo respirare: il mio naso e la mia bocca scambiano veramente solo ossigeno e diossido di carbonio? (…)

GIORNO 13
Siamo ancora autorizzati a uscire in un breve lasso di tempo per la necessaria passeggiata quotidiana dei nostri animali da compagnia. Notiamo che il cane chiama passeggiata ciò che l’uomo chiama defecazione e che gli occorre la via, persino l’intera città dove poter deporre la sua cacca, mentre per noi, all’opposto, questo rito o questo dovere costituisce di norma l’unica esperienza giornaliera di confinamento, nella stanzetta in fondo al corridoio. Insomma, questo bisogno imperioso è per il cane l’occasione di lasciare un po’ la casa e per il suo padrone, al contrario, una buona ragione per entrarvi di corsa. In entrambi i casi, mi direte voi, ci si sgranchisce le gambe. (…)

GIORNO 20
Ho ritrovato in un ripostiglio un grande sacco di maschere, inestimabile tesoro di questi tempi in cui sono la condizione della nostra sopravvivenza e in cui è però tanto difficile procurarsene. Piccola nota stonata, tuttavia, si tratta di maschere di Zorro che mi restano da una festa in costume organizzata in giardino qualche anno fa. Certo la maschera di Zorro è un lupo per l’uomo, come è noto, che gli nasconde solo la parte alta del viso, lasciando allo scoperto il naso e la bocca. Non protegge insomma altro che l’incognito e io non sono sicuro che il virus assassino prenda di mira tanto precisamente le sue vittime né che le scelga in base al loro aspetto. Così, e dato che nulla impedisce ai muti più taciturni di emettere una volgare tosse, l’intrepido Don Diego de la Vega sarebbe stato fatalmente contaminato dal suo fedele servitore Bernardo. (…)

GIORNO 34,35
Certo, io sono tra coloro che pensano che dopo il confinamento, quando l’epidemia sarà stata sconfitta, tutto ritornerà alla normalità, tutto ritornerà come prima. A piccoli gruppi di qualche decina di individui che formeranno dei clan, vagheremo per le pianure e le tundre, nelle foreste, cacciatori-raccoglitori in cerca di cibo, come se nulla fosse accaduto. (…)

GIORNO 50,51,52
Il giorno della fine del confinamento si avvicina. Potremo presto esibire pubblicamente i nostri corpi trasformati dall’inazione, il sollevamento pesi compulsivo, l’abuso di alcol e di schermi, la carenza di vitamina D, l’igiene approssimativa, lo squilibrio alimentare e le violenze domestiche. Sarà una nuova specie umana a diffondersi nelle strade, un popolo di creature gobbe dalle gambe storte, le braccia ipertrofiche, l’addome gonfio, il sedere piatto, il colorito bistro, le zazzere annodate, gli occhi rossi, il naso incurvato, vestite di stracci di un altro secolo, che recitano stentatamente una lingua sconosciuta. Rallegriamoci però, i baci restano controindicati. (…)