Cultura

Coronavirus, “La città per l’uomo ai tempi del Covid-19”: il libro di Massimiliano Cannata sulla necessità di ripensare i centri urbani focalizzandoci sull’individuo e la sua sicurezza

Prendendo spunto da “Elogio della città?”, saggio scritto dal giurista ed ex ministro di Grazia e Giustizia Giovanni Maria Flick, Cannata ha riunito i pensieri e le riflessioni di più esperti: l'obiettivo è capire quale sarà il ruolo della città dopo la crisi sanitaria

Una riflessione corale sul futuro della città e della nostra società dopo il trauma dell’epidemia dovuta al Covid-19 è necessaria. Ecco che, prendendo spunto da Elogio della città?, saggio scritto dal giurista ed ex ministro di Grazia e Giustizia, Giovanni Maria Flick, sul ruolo della città, è nato il libro La città per l’uomo ai tempi del Covid-19 (La Nave di Teseo) curato da Massimiliano Cannata.

All’interno dell’opera, diversi esperti cercano di analizzare come sia avvenuta la crisi del modello di città in cui viviamo e di comprendere quali siano le strategie da adottare per evitare che il panico prenda il sopravvento. La soluzione proposta è quella di ripensare la città in un’ottica nuova, come bene comune, in modo da garantire agli abitanti i diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione e la possibilità di potersi muovere al suo interno in totale libertà e sicurezza.

Nella sua introduzione, il giornalista e filosofo Cannata sostiene che è giunto il momento di un cambiamento decisivo che dovrà avere però un volto umano e comunitario, affinché la città possa avere ancora un futuro. Ciò significa che bisognerà mettere al centro le persone e le relazioni che si instaurano fra di esse: quando si smarrisce la centralità degli uomini che la abitano, la città perde la sua anima e nulla funziona più come dovrebbe. Per far accadere ciò, occorrerebbe una stretta collaborazione fra Stato, Regioni ed Enti locali e una riformulazione di un piano adeguato in cui si pensi necessariamente al benessere dell’intera comunità, invece che agli interessi del singolo.

Secondo il vicesindaco di Roma Luca Bergamo, le città dovrebbero essere gestite in termini di giustizia sociale, equità, democrazia e sostenibilità per rendere la società meno fragile e combattere eventuali crisi. Servirebbe quindi un ridimensionamento degli interessi privati, che sono maggiori rispetto a quelli comunitari, e cooperare per superare l’impasse che stiamo vivendo.

Gli architetti Margherita Petranzan e Franco Purini sostengono, invece, che la ricostruzione della città dovrebbe partire da una riorganizzazione dello spazio in cui si vive, interpretando lo spirito del tempo e garantendo ai cittadini aree riqualificate sicure e salubri. Le nuove tecnologie fungerebbero, in questo caso, da valido supporto.

Infine lo storico e archeologo Salvatore Settis afferma che l’assetto urbanistico debba essere in armonia con l’ambiente circostante. Finora questo non è avvenuto per diversi motivi: l’espansione della città (urban sprawl) ha causato una riduzione degli spazi verdi e una scarsa distribuzione dei mezzi e dei servizi pubblici; il moltiplicarsi dei grattacieli (vertical sprawl) ha sminuito la bellezza dei centri storici e la nascita di gated communities, ovvero aree destinate ai ricchi o ai poveri, ha aumentato le disparità economiche e sociali.

Da queste riflessioni possiamo dedurre che bisognerebbe ripensare alla struttura dei centri abitati, arrestando innanzitutto la cementificazione dei suoli agricoli mediante azioni di riciclo o l’abbattimento di edifici abbandonati o di nessun pregio per favorire maggior contatto con la natura; contrastare il diffondersi dei ghetti urbani che provocano disuguaglianza ed esclusione; privilegiare la diversità urbana, preservando i centri storici che sono la memoria del nostro Paese e migliorare i servizi offerti per contrastare nuovi virus, dando nuova linfa ad ospedali, carceri e centri per anziani. Questo significherebbe agire in nome del bene comune.