Diritti

La violenza in famiglia si può trasmettere di padre in figlio. E la storia di Alex dovrebbe farci riflettere

Sì, accade. Accade che i figli e le figlie si frappongano tra il padre e la madre durante una violenza, che cerchino di fermarlo. Bambini di cinque anni o adolescenti cercano di proteggere la madre dalla furia di una aggressione e ricevono colpi e ingiurie. Una volta diventati adulti fermano il padre che si scaglia contro la madre e talvolta intervengono con brutalità contro un padre anziano che continua a maltrattare la loro madre. Ascolto queste testimonianze da 30 anni.

Le donne sono spinte a rompere relazioni con maltrattanti proprio quando diventano coscienti, davanti all’evidenza, che i loro tentativi di proteggere i figli da padri violenti e inetti sono stati vani e riescono a superare la paura che una fuga possa scatenare reazioni peggiori.

La violenza contro le donne colpisce sempre i figli anche quando non assistono direttamente alla violenza, e un padre violento non è mai un buon padre. Questa è una realtà che viene spesso dimenticata nelle cause di separazione quando i giudici non tengono conto della violenza e stabiliscono l’affido condiviso togliendo protezione alle vittime di maltrattamenti.

Troppe donne hanno ancora paura di perdere i figli svelando la violenza o di finire in un tritacarne istituzionale che le deruba del controllo sulle loro vite.

Che cosa è accaduto per vent’anni nella famiglia di Alex, il 19enne che ha chiamato i carabinieri confessando di aver accoltellato il padre-padrone? A Collegno, tra le mura divenute invalicabili come quelle di una prigione, in un appartamento al sesto piano di un palazzone, ha afferrato un coltello e ha colpito il padre più volte per fermare una violenza che lo teneva ostaggio della paura insieme a sua madre e a suo fratello.

Un incubo, quello della violenza in famiglia che può essere anche quotidiano, fatto di tensione e di vigilanza continua su ogni gesto, parola, espressione di chi in casa può aprire le porte a un inferno di rabbia e paura, di sensi di colpa e di impotenza. Ho ascoltato molte testimonianze di donne che, spaventate, raccontavano della reazione violenta dei figli o delle figlie contro padri maltrattanti che inoculavano il veleno di un esempio mostruoso.

La violenza trasforma, contamina e lascia tracce indelebili nelle vittime che hanno un compito gravoso: quello di trasformare il veleno in medicina. Ci sono bambini e bambine cresciuti nella violenza che non hanno potuto avere un’infanzia, un’adolescenza, che hanno visto sgretolarsi progetti e sogni, impantanati nel dolore e nella rabbia, nella sfiducia nella vita, nel prossimo e in se stessi. Chi cresce e diventa adulto nella violenza, si affaccia alla vita con un debito da saldare, a volte inestinguibile, e che diventa una lotta con un usuraio interiore che esige distruzione.

Secondo una rilevazione fatta da Save The Children, 427mila bambini e adolescenti hanno assistito alla violenza sulle proprie madri. La famiglia è il luogo dove per eccellenza si impara, si imita, si apprende come ci si relaziona con l’altro fino a creare una catena che si trasmette di generazione in generazione.

Lo dimostrano gli studi sulla trasmissione intergenerazionale della violenza e i numeri di Istat ci dicono che i partner delle donne che hanno assistito ai maltrattamenti sulla madre sono a loro volta autori di violenza nel 21,9% dei casi mentre tra le donne, il 58,4% che ha subito violenze sessuali prima dei 16 anni può subire da adulta altre violenze fisiche o sessuali; la percentuale sale al 64,2% tra le donne che hanno subito violenza dal padre e al 64,8% tra coloro che hanno subito violenze fisiche dalla madre.

La scuola o i luoghi delle sport sono gli osservatori privilegiati per cogliere i segnali di un disagio che va indagato come ha fatto una cara amica insegnante che ha rivolto la sua attenzione a una studentessa di 13 anni, stanca, assonnata e distratta, ne ha conquistato la fiducia fino a quando non ha accolto la testimonianza di gravi violenze commesse dalla madre.

Pochi giorni fa una professoressa, durante una video-lezione, ha ascoltato le grida nella casa di un alunno, ha chiamato la polizia facendo arrestare il padre del ragazzo ma a parte la coincidenza di un microfono che resta acceso durante una lezione, il distanziamento per l’emergenza Covid-19 può essere un grande ostacolo all’intercettazione di situazioni di violenza e maltrattamento sui ragazzi e le ragazze, diretta o assistita.

Non sono necessarie telecamere e microfoni per capire che in una casa c’è violenza anche se insegnanti ed educatori non sempre sanno come cogliere i segnali di un disagio o non sanno come intervenire e su queste situazioni cala un’ignavia e un’inerzia che non permette di dare l’aiuto dovuto. La violenza non è mai silenziosa e invisibile, ci sono stereotipi e pregiudizi che annebbiano la vista e che forniscono sempre giustificazioni soprattutto se si commette contro le donne.

Per vent’anni Alex è stato invisibile agli occhi delle persone che lo hanno avvicinato da bambino fino alla sua età adulta, spero che i giudici non vedano solo la furia omicida con la quale ha colpito il padre, spezzando le lame di tre coltelli, ma vedano anche tutta la violenza che ha ricevuto e che purtroppo ha restituito.