Scuola

Coronavirus, le lezioni a distanza? “Alla lunga emergono le disparità”. Reddito, connessione, didattica: parlano i maestri dopo 2 mesi

Mancanza di supporti, rete internet che non funziona allo stesso modo ovunque e poca preparazione a un nuovo modo di fare scuola: dopo quasi otto settimane di lezioni online dirigenti, esperti e docenti spiegano le difficoltà incontrate. Il pedagogista Daniele Novara: "Il problema è il metodo, siamo arrivati impreparati". L'assessore fiorentina Funaro: "Situazione a macchia di leopardo: non avviene ovunque"

La didattica a distanza non è democratica, non è uguale per tutti. Dopo quasi due mesi di lezioni online dirigenti, pedagogisti, maestri, professori e amministratori tirano le somme ed emergono i primi problemi. La buona riuscita della “dad” (come ormai viene chiamate) dipende da dove vivi, dalla famiglia che hai, dal contesto sociale in cui abiti, dalla scuola che frequenti. Non tutti hanno piattaforme sicure, non tutti hanno iniziato le lezioni via web, non tutti hanno avuto in tempo un dispositivo per connettersi e soprattutto è mancata una sorta di “pedagogia 2.0“.

“Videolezioni? Siamo impreparati dal punto di vista pedagogico” – A lanciare una riflessione sull’esperienza di queste settimane è il pedagogista Daniele Novara: “La didattica a distanza è una necessità, non è una scelta. Dobbiamo però porci una domanda: quale didattica a distanza stiamo facendo? Se si tratta di fare video-lezioni o incalzare gli alunni con i voti e le crocette è grottesco. Fare qualcosa di tradizionale in una scuola innovativa è impossibile. In questa fase bisogna dare degli stimoli agli alunni, non farli restare in ascolto davanti a uno schermo. Non si può pretendere che un bambino o un ragazzo resti attento davanti allo schermo come in un’aula. Il “videonozionismo” è la morte di ogni pedagogia. Passare dalle lezioni frontali alle video- lezione online è una tortura. Il problema non è la tecnologia ma il modo con cui la si usa. Ciò che conta è il metodo: l’insegnante deve avere quello”.

Novara non dimentica la questione piattaforme: “Il buon senso direbbe che da parte ministeriale si dovevano avere delle indicazioni. Bisogna diversificare, ogni scuola convenga che abbia diverse piattaforme da usare. Siamo arrivati a questa emergenza impreparati da un punto di vista pedagogico e metodologico”. Il pedagogista piacentino elogia però i docenti: “Gran parte degli insegnanti ha fatto il possibile con estrema fatica, soprattutto alla scuola dell’infanzia. Quello che è sembrato mancare è la capacità di dare indicazioni sostenibili alle scuole da parte del ministero: quando è arrivata la circolare firmata da Marco Bruschi sulla “dad” le scuole si erano già organizzate da tempo”.

“Situazione a macchia di leopardo” – Ma c’è anche chi non è mai partito: ci sono istituti che non hanno mai fatto lezione o che sono in gran ritardo. Lo sa bene il sindaco di Firenze, Dario Nardella, che nei giorni scorsi dai microfoni di “Lady radio” ha puntato il dito contro alcuni dirigenti scolastici: “Chiedo al direttore regionale toscano di farci sapere quante scuole effettivamente fanno i corsi a distanza per i loro studenti. A me risulta, infatti, che in molte scuole purtroppo non si fanno queste attività: ci sono ragazzi che riescono forse a fare una o due ore al giorno e non basta”. Parole condivise dall’assessore all’istruzione della città toscana, Sara Funaro: “È una situazione a macchia di leopardo. Ci sono alcuni istituti, dirigenti, insegnanti, che fanno un gran lavoro partecipato; ci sono situazioni in cui questo non avviene. A noi sono arrivate parecchie segnalazioni dai genitori”.

Case senza pc e lezioni da cellulare (giga permettendo) – Il problema principale, per chi si è messo da subito al lavoro, sembra essere quello della mancanza di strumenti e di una rete internet uguale per tutti. La didattica a distanza non è uguale a Milano centro o nei piccoli borghi della pianura Padana dove la banda larga o la fibra non sono ancora arrivate. “La digitalizzazione forzata – spiega Roberta Mozzi, dirigente dell’istituto ‘Torriani’ di Cremona – non è per nulla democratica. Un conto sono i ragazzi del liceo, un conto quelli del professionale. Basta vedere le richieste di device da parte delle famiglie. La banda larga nelle cascine e nelle frazioni non è arrivata, le disparità vengono fuori tutte. La ‘dad’ marca maggiormente il gap che c’è tra chi vive in una famiglia di reddito medio con un livello socio culturale medio alto e chi vive in famiglie in difficoltà”. Osservazione condivisa dalla collega Angela Troia, preside del liceo scientifico di Bagheria, nel palermitano, e coordinatrice dell’osservatorio sulla dispersione scolastica: “La didattica a distanza acuisce le difficoltà. Per i ragazzi con disabilità o quelli a rischio dispersione si accentuano le differenze. Per gli alunni disabili è difficilissimo fare didattica a distanza perché per loro è tutto basato sulla relazione. In molte case non c’è un computer ma c’è un ragazzo con il solo cellulare. Sono famiglie che non hanno mai pensato di avere un pc a casa”.

Una situazione che ha ben presente anche Daniela Lo Verde, a capo dell’istituto ‘Giovanni Falcone’ allo Zen di Palermo: “Siamo riusciti solo ora, dopo quasi due mesi, a consegnare i dispositivi che permetteranno di fare una didattica più articolata. Dopo più di un mese di lezioni con lo smartphone ora avranno i notebook. Dobbiamo fare i conti con una connessione che spesso è legata ai giga dei telefonini che a fine mese finiscono. E poi nel mio territorio il livello d’istruzione delle famiglie è al massimo di licenzia media”. A segnalare le difficoltà legate alla connessione internet è anche il professore Ivan Vadori che insegna matematica al liceo scientifico ‘Le filandiere’ di San Vito al Tagliamento: “Anche qui in Friuli Venezia Giulia ci sono comuni che non sono serviti dalla fibra e non hanno nemmeno una rete adeguata. Tra i miei alunni ci sono ragazzi che sono costretti a usare solo il cellulare e a fare i conti con i giga disponibili“.

Contesti familiari e “insegnanti illuminati” – Maestri e professori hanno fatto tutto il possibile, ma sanno meglio di ogni altro che la didattica a distanza ha i suoi limiti e non è affatto equa. Monica Cavalletti, maestra all’istituto comprensivo di Trescore Cremasco va un po’ più in profondità: “La diversità non la fa il territorio, ma la povertà o la ricchezza, l’essere italiani o non esserlo, avere in casa i libri o non averne. Vivo in un’area interna, ma i nostri bambini hanno le stesse possibilità di quelli che abitano in centro a Milano. La differenza la fa l’insegnante illuminato, che mette in campo le idee più diverse, al di là delle schede. Ci sono tanti morti sul campo, persone che non sono state raggiungibili. Puoi dare tutti gli strumenti che vuoi, ma se non c’è la mediazione dell’adulto è molto complicato”. Dalla pianura Padana al Lazio, dove Francesca Faraglia, maestra a Casteria spiega: “C’è chi ha un’età diversa dalla mia che non ha mai mandato una mail fino ad ora. Che possiamo fare? A Rieti la didattica a distanza è partita prima, in campagna è arrivata dopo. Le aeree interne sono le più sfavorite”.

“Poche scuole avevano già testato la sicurezza delle piattaforme: rischi per la privacy” – Infine c’è la questione della privacy e della sicurezza informatica. Il 26 marzo scorso il Garante per la privacy ha diffuso una nota con le indicazioni in merito, ma la questione resta aperta. “L’utilizzo di piattaforme della scuola già collaudate avrebbe ridotto eventuali problemi di privacy. In queste settimane – spiega Paolo Ferri, docente di teoria e tecnica dei nuovi media e tecnologie didattiche all’Università Milano Bicocca e membro del tavolo per la redazione del piano nazionale digitale – si sono usati strumenti che hanno rilevato delle falle di sicurezza. Zoom ha dovuto cambiare sistema di autenticazione. C’è un problema di certificazione delle piattaforme, ma ciascuna scuola dovrebbe essere dotata di una piattaforma sulla quale siano stati fatti dei test e dei contratti sulla pubblicità dei dati. Poche scuole hanno testato un ambiente di apprendimento. Il rischio che si corre è quello di cedere dei dati dei bambini o delle famiglie che sono inconsapevoli di questa cessione”.

Tuttavia Ferri non pensa che il ministero avrebbe dovuto fornire una piattaforma nazionale unica per tutti: “Non credo minimamente che la soluzione debba essere centrale ma territoriale. Non possiamo lasciare al singolo insegnante la scelta, ma serve una policy e le scuole devono adeguarsi”. E se si chiede a Ferri un consiglio per l’uso di una piattaforma la risposta è pronta: “L’unico accordo che il Miur ha fatto è stato con Google”.