Società

25 aprile, ‘da partigiano portavo le notizie al gruppo, era un onore aiutare i compagni. Poi un giorno li uccisero’

Posso sentire l’odore della vegetazione misto a quello della polvere che si alza dalla strada mentre spingo forte sui pedali. Corro lungo i binari del treno. So che devo andare ancora più veloce dell’ultima volta. E’ un percorso che faccio tutti i giorni. Sento lo stridore dei sassolini sotto le ruote della bicicletta. Pedalo, pedalo sempre più forte. In lontananza qualche esplosione, poi l’inconfondibile odore della polvere da sparo che il vento si porta via. Cerco di non distrarmi e non voglio che la paura prenda il sopravvento. Dentro il manubrio della mia bicicletta sono nascoste le informazioni. Ho cura di arrotolare i fogli di carta, di sigillarli e fare in modo che non si danneggino e che non li scoprano, neppure nell’ipotesi in cui dovessero prendermi. Per fortuna non è mai capitato che mi catturassero anche perché, in quel caso, sarei già stato torturato e ucciso.

E’ un compito rischioso e prima di partire mi hanno spiegato che quelle direttive devono arrivare in fretta. Occorre un’azione coordinata con gli altri gruppi e tutto dipende dalla tempestività con cui le consegnerò. Da quando Giuseppe ha preso in mano il comando insieme a Guglielmo ci sentiamo più motivati. Siamo il collettore tra i gruppi, tra chi porta la stampa clandestina e chi le informazioni sulle azioni partigiane, e chi i medicinali.

Prima di partire Giuseppe mi ha appoggiato le mani sulle spalle.

“Mi raccomando, devono arrivare in tempo”.

Ne sono consapevole e so che quello che faccio è anche molto rischioso. E’ una grande responsabilità, ma credo nella Resistenza e sono certo che libereremo il nostro paese dai nazisti e dai fascisti. Mi sono arruolato nella stessa brigata dei Mario Capelli, Adelio Pagliarani e Luigi Nicolò. La formazione partigiana “29 GAP”. Loro sono davvero tosti. Hanno 23 anni come me e già combattono in prima linea.

Ho annuito a Giuseppe, fiero. Orgoglioso di essere investito di quel compito e di far parte di quel gruppo. Sono tornato in sella alla mia bicicletta e sono ripartito per Forlimpopoli. Nonostante il caldo afoso di agosto e il sole che picchiava sulla testa sono stato più veloce delle altre volte. Ma la soddisfazione per aver svolto bene il mio compito ha dovuto lasciar spazio all’angoscia che ho provato quell’agosto del 1944, quando sono venuto a sapere che avevano catturato Mario, Adelio e Luigi. Dopo un’azione di sabotaggio in danno dei tedeschi. Ricordo che c’era tanta concitazione quando sono tornato a casa. C’era chi pensava a come liberarli, ma c’era anche molta preoccupazione per quella che sarebbe stata la loro sorte.

Mario, Adelio e Luigi vennero sottoposti a torture dai nazifascisti ma, eroicamente, non fecero i nostri nomi.

Il 16 agosto del 1944, dopo essere stati processati da un tribunale tedesco, sono stati portati in piazza Giulio Cesare.

Li hanno fatti salire su dei tavoli, così che le loro teste potessero entrare facilmente nei cappi legati all’impalcatura alla quale sarebbero stati impiccati. Alcuni dei nostri, presenti all’esecuzione in incognito, li hanno sentiti gridare “Viva Stalin!”. Poi i tavoli sono volati via, il laccio si è teso e i loro corpi senza vita sono rimasti sospesi.

Mario, Adelio e Luigi sono morti da eroi. Quella piazza oggi è intitolata a loro, ai miei compagni, ai tre partigiani che hanno contribuito alla Liberazione d’Italia, ai “Tre Martiri”.

N.B.

Questo breve racconto è dedicato alla memoria di Tonino Tasini, mio nonno, partigiano garibaldino, ai suoi compagni di Brigata e a tutti i partigiani grazie ai quali ogni anno, il 25 aprile, possiamo festeggiare la Liberazione d’Italia dal fascismo e dal nazismo.