Zonaeuro

Fondo salva Stati, “ecco i punti su cui l’Italia deve negoziare perché un prestito del Mes sia conveniente e senza rischi futuri”

La valutazione finale dipenderà "dalle condizioni generali e dalle clausole inserite nel contratto", ha detto Conte. L'economista Francesco Saraceno, vicedirettore dell'Osservatorio sulla congiuntura di Sciences Po a Parigi, spiega che gli aspetti su cui concentrarsi nelle trattative sono tre. I soldi devono arrivare in un'unica tranche, per evitare che il creditore possa in un secondo momento imporre condizioni aggiuntive (austerità). Le commissioni applicate devono essere azzerate o quasi, per non erodere il risparmio rispetto a una normale emissione di Btp. E i tempi di restituzione devono essere sufficientemente lunghi

Ottenere che i soldi vengano versati nelle casse dello Stato in un’unica tranche, che le commissioni applicate dal Mes siano azzerate o quasi e che i tempi di rimborso siano allungati. Sono questi, secondo l’economista Francesco Saraceno, vicedirettore dell’Osservatorio sulla congiuntura di Sciences Po a Parigi, i punti cruciali su cui l’Italia dovrebbe negoziare per avere la certezza di poter incassare 35-36 miliardi a condizioni favorevoli e senza rischiare, un domani, di vedersi imporre le temute misure di austerità “alla greca”. Visto che il diavolo sta nei dettagli, e di dettagli nei trattati e regolamenti europei ce ne sono tanti, tutto ruota intorno a queste tecnicalità che saranno discusse in sede di Consiglio europeo e poi nel board del fondo salva Stati. Se alla fine delle trattative questi aspetti non saranno chiariti, il suggerimento è di non imbarcarsi in ulteriori contrattazioni su un Memorandum.

Il premier Giuseppe Conte ha lanciato un appello a non “logorarsi” in questa fase nel dibattito sulla convenienza o meno di attivare una linea di credito del Mes, perché “solo alla fine valuteremo se è conforme all’interesse nazionale”. E, come per chi chiede un mutuo, dipenderà “dalle condizioni generali e dalle clausole inserite nel concreto contratto di finanziamento”. All’ultima riunione dell’Eurogruppo è stato fatto un passo avanti perché la proposta finale è di imporre come unica condizione l’uso dei soldi per le spese sanitarie e di prevenzione. Sia “dirette” sia “indirette”, cosa che apre la strada alla possibilità di finanziare con quelle risorse anche una parte delle misure per le aziende penalizzate dal lockdown. Ma non è detto che sia sufficiente: c’è chi teme, alla luce di quel che è successo alla Grecia nel 2015, che in un secondo tempo – passata l’emergenza – il creditore possa cambiare le carte in tavola. Anche se le “linee di credito rafforzate” proposte in questo caso non sono mai state utilizzate, per cui non ci sono precedenti concreti a cui guardare.

“In effetti non ci si può fidare della condizionalità soft tranne che in un caso”, spiega Saraceno, che è anche membro del comitato scientifico della Luiss School of European Political Economy. Il nodo è “l’articolo 7 comma 5 del Regolamento 427/2013, parte del Two pack”. In base a quella norma il programma sottoscritto da uno Stato che abbia chiesto assistenza finanziaria può essere “modificato” dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata se, per esempio, i dati macroeconomici si rivelano peggiori rispetto alle previsioni. La trappola però può essere disinnescata: “Il cambiamento delle condizioni può avvenire solo se il rapporto contrattuale è ripetuto, cioè se si va a chiedere una seconda tranche di prestiti. E’ quello che è successo alla Grecia. Ma se invece la somma viene erogata tutta in una volta, e con l’unica condizionalità di pagare spese sanitarie, alla scadenza il debitore rimborsa il prestito e a quel punto nessuno può chiedergli interventi aggiuntivi“. L’Eurogruppo non si è mai espresso sul numero tranche, ma questo aspetto sarà evidentemente decisivo per le scelte future del governo italiano.

Gli altri “dettagli” che faranno la differenza, continua Saraceno, sono il tasso di interesse e la maturità – cioè la durata – del programma di assistenza precauzionale. Il Mes emette titoli decennali a tassi dello 0% circa, mentre i Btp italiani in questi giorni pagano tra l’1,5 e l’1,8%. Quindi avere 35 miliardi dal Mes invece che chiederli sul mercato sarebbe conveniente, “ma il risparmio su quella cifra è piccolo, diciamo 700 milioni nella migliore delle ipotesi, e bisogna capire se sarà eroso da commissioni”. La prima proposta arrivata sul tavolo dell’Eurogruppo prevedeva che la commissione standard di 85 punti base venisse ridotta “per riflettere l’obiettivo dello strumento nelle attuali circostanze”. “Se fosse di 85 punti base porterebbe via più della metà del risparmio atteso, pari a 150-16o punti base…”, commenta Saraceno. Quanto ai tempi del rientro, “le condizioni standard sono di un anno più uno e non c’è ancora nulla nero su bianco che ci dica che saranno allungati: anche questo è da decidere”. Posto che sarebbe in ogni caso debito aggiuntivo, un prestito a breve non ci converrebbe mentre uno a lunga scadenza ci farebbe risparmiare qualcosa.

“Per ora è impossibile dire se accendere questo “mutuo” ci converrebbe”, conclude Saraceno. “E non è detto che sarà possibile capirlo dopo il Consiglio europeo del 23 aprile, che prenderà una decisione politica ma lascerà delle zone grigie“. A quel punto che cosa converrebbe fare? Secondo l’economista dipende da come si muoverà il board dei governatori del Mes, che è formato dai ministri delle Finanze dell’Eurozona tra cui Roberto Gualtieri. “Se il board scioglierà tutte le ambiguità e deciderà di delineare chiaramente le regole generali della nuova “linea di prestito Covid-19“, dicendo che non ci saranno condizionalità se non l’uso per spese sanitarie dirette e indirette, che l’erogazione sarà in una sola tranche e che le commissioni saranno ridotte al minimo, dovremmo prendere i soldi. Dovendo suggerire una linea negoziale, direi di spingere perché l’esito sia questo”. E se invece le decisioni di dettaglio fossero rinviate ai memorandum da negoziare e firmare con ogni Paese richiedente? “Visto il costo politico, credo che in quel caso sarebbe meglio non imbarcarsi in un negoziato dall’esito incerto e dai guadagni limitati. La battaglia più importante, comunque, è quella sul Recovery fund, le sue fonti di finanziamento e la sua collocazione dentro o fuori il bilancio europeo”.