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Padre Maccalli, un video diffuso dai media del Niger mostra il missionario ancora vivo. Con lui un altro italiano rapito, Nicola Chiacco

Il video dura esattamente 23 secondi, tempo sufficiente per pronunciare un breve messaggio: “Mi chiamo Pier Luigi Maccalli, nazionalità italiana, oggi è il 24 marzo 2020”. Il missionario era stato rapito nel settembre 2018

Padre Pierluigi Maccalli sarebbe vivo. Lo dimostra un video registrato due settimane fa e diffuso poche ore fa da alcuni media del Niger che lo hanno ricevuto da canali anonimi. Il missionario originario di Crema era stato rapito da un gruppo di jihadisti nella notte tra il 17 e il 18 settembre del 2018 nella diocesi nigerina di Bomoanga, 150 km a sud ovest della capitale Niamey, al confine con il Burkina Faso. Nelle immagini, oltre a padre Maccalli, compare anche un altro cittadino italiano, Nicola Chiacchio, sul cui rapimento le informazioni non sono così chiare. Di lui si erano perse le tracce alcuni anni fa: Chiacchio sembra si trovasse nel Sahel per turismo.

I due sono ricomparsi ieri nel brevissimo video diffuso in anteprima da alcuni media africani, tra cui il sito Air Info Agadez. Una buona notizia, senza dubbio, che segue il filo diretto degli italiani rapiti nella regione del Sahel. Meno di un mese fa, infatti, il 14 marzo, nel vicino Burkina Faso sono stati rilasciati Luca Tacchetto e la sua amica canadese Edith Blais, scomparsi il 16 dicembre 2018, pochi mesi dopo il rapimento di padre Maccalli.

L’autenticità del documento è provato dalle parole dei nostri connazionali. Il video dura esattamente 23 secondi, tempo sufficiente per inserire un breve messaggio: “Mi chiamo Pier Luigi Maccalli, nazionalità italiana, oggi è il 24 marzo 2020”. Le stesse parole proferite subito dopo da Chiacchio. I due sono sono seduti uno di fianco all’altro, le gambe raccolte, lo sguardo diretto alla telecamera. Sembrano star bene, anche se appaiono stanchi e logorati. Padre Maccalli, 59 anni, missionario in Africa per conto della Società delle Missioni Africane (Sma), indossa degli occhiali da sole e il volto ‘protetto’ dalla folta barba bianca che lo ha sempre caratterizzato, anche se non così ricca e così bianca, addosso una specie di camicia tipica delle regioni del Sahel. Abiti tradizionali locali anche per Chiacchio, una tunica ad avvolgergli il capo e la barba non così lunga come quella del sacerdote.

Nei diciannove mesi dal rapimento di padre Maccalli gli appelli sulla sua liberazione si sono ripetuti, ma è quello di poche ore fa il segnale più diretto ed evidente sulla sua sorte e sulle sue condizioni. Dei rapitori si sa poco, al netto dell’appartenenza ad uno dei tanti gruppi jihadisti ed estremisti islamici cresciuti negli ultimi dieci anni che hanno fatto dei rapimenti ai danni di occidentali uno dei tratti strategici principali. Non dimentichiamo che nell’area è operativo anche il gruppo leader dell’estremismo musulmano, Boko Haram, sebbene la sua sfera di azione sia maggiormente orientata attorno al confine tra Nigeria, Ciad, Niger e Camerun. I quasi due anni di tempo trascorsi tra il rapimento e il videomessaggio di ieri sono stati caratterizzati dal silenzio, una rivendicazione effettiva e autentica non è mai arrivata, così come non sono arrivate, almeno ufficialmente, richieste di riscatto.

Preghiere e contatti, nulla è riuscito in questo lasso di tempo a consentire alle nostre autorità diplomatiche e ministeriali di riportare a casa Maccalli e lo stesso Chiacchio, di cui si erano perse le tracce e di cui si conoscono meno dettagli. Il missionario italiano, all’epoca dei fatti, era rientrato in Niger dopo un breve periodo di riposo in Italia. Il suo lavoro di evangelizzazione nella regione, una delle più difficili della regione del Sahel, tra povertà, analfabetismo, igiene e salute, aveva probabilmente dato fastidio a monte. L’obiettivo della sua missione a Bomoanga, infatti, stava iniziando a ‘contaminare’ i villaggi vicini della diocesi dove Maccalli aveva voluto istituire i Comité de Solidarité et Developpement, gruppi di solidarietà e sviluppo. La presenza cristiana nella regione non è vista di buon occhio e gli episodi di intolleranza nei confronti della comunità religiosa si sono ripetuti a partire dal 2015, tra cui gli incendi delle chiese di Zinder e Niamey nel gennaio di quell’anno. Non possiamo certo dimenticare anche gli attacchi terroristici in Burkina Faso e il lunghissimo conflitto in Mali che ha visto la Francia impegnata in prima linea per far fronte alla crescente instabilità del Paese e di quelli vicini.