Lavoro & Precari

Coronavirus, la denuncia dal call center: “50 in una stanza, senza precauzioni, a 1200 euro al mese. Ma per il governo dobbiamo restare aperti: produciamo un servizio essenziale, la vendita di piani tariffari”

Un dipendente di Distribuzione Italia a L'Aquila racconta a ilfattoquotidiano.it le precarie condizioni di sicurezza in cui è costretto a lavorare con i suoi colleghi. "Per fortuna ci stanno fornendo il materiale per il telelavoro, ma con enorme e immotivato ritardo. Per la politica è essenziale chiamare le persone a casa per vendere offerte"

“Andrò in ufficio anche oggi, in una stanza dove ogni giorno passano 100 persone. Perché il governo ha deciso che noi dei call center siamo essenziali: non pensavo di produrre un servizio essenziale, per 1200 euro al mese”. Nelle parole di Fabrizio (il nome è di fantasia, come richiesto dalla persona che ha affidato la sua denuncia al fattoquotidiano.it) c’è tutta la frustrazione di chi si sente ripetere da tutte le parti le restrittive misure antivirus e riceve inviti a rimanere in casa, ma poi ogni mattina è costretto ad andare in ufficio insieme a decine di colleghi, senza mascherina. “E spetta a noi disinfettare tastiere e tavoli: le postazioni non sono assegnate, quindi dove lavoro io, il turno dopo, lavorerà qualcun’altro. Per diversi giorni anche le cuffie erano condivise, con il microfono a due centimetri dalla bocca: non ci vuole molto a capire perché siamo spaventati”.

Solo ora, a quasi 20 giorni dall’entrata in vigore delle misure restrittive che hanno interessato tutta l’Italia, l’azienda sta cercando di favorire il lavoro da casa. Fabrizio è impiegato negli uffici di L’Aquila della Distribuzione Italia, che da inizio marzo ha ereditato la commessa di Poste Italiane e i lavoratori di OlisistemStart srl impiegati sulla commessa. Del gruppo fa parte anche il call center Youtility Center di Roma, quello per cui lavorava Emanuele Renzi, il 34enne morto nella notte tra sabato e domenica, l’autopsia dovrà solo stabilire se “per” o “con” il Coronavirus. E la preoccupazione, dal Lazio, viaggia verso l’Abruzzo: “Noi abbiamo iniziato il 2 marzo a lavorare con Distribuzione Italia, che ha un proprio staff che viene ogni settimana da Roma. Ci hanno garantito che nessuno di loro ha avuto contatti diretti con il ragazzo, ma chi può sapere di eventuali contatti indiretti?” La domanda che si fanno i lavoratori di tutti i call center italiani, però, è perché non sia stata presa una decisione drastica per il settore: “Noi qui, potenzialmente, siamo una bomba. Basterebbe una persona asintomatica per creare scompiglio tra 200 famiglie”.

La possibilità l’ha lasciata aperta il nuovo decreto varato del governo: tra le attività lavorative che possono continuare nonostante l’emergenza sanitaria è stata inserita anche quella dei call center, codice Ateco 82.20.00. “Questa classificazione comprende anche il lavoro di outbound: di fatto stiamo considerando essenziale chiamare le persone a casa per vendere un piano tariffario”, spiega Fabrizio. Un incontro tra la Rappresentanza sindacale aziendale e i vertici di Distribuzione Italia nelle ultime ore sembra aver sbloccato la situazione, con la consegna ai lavoratori dei computer da portare a casa prevista in questi giorni, ma quello che risulta incomprensibile a Fabrizio e ai suoi colleghi è perché si stia ragionando di telelavoro solo ora: “C’è stata una lentezza enorme rispetto all’incentivazione al lavoro agile prevista da settimane. E il nostro settore si presta facilmente: è un servizio fatto a distanza, bastano un computer, una connessione internet e delle cuffie con un microfono. Non capisco cosa cambi all’azienda, che ha comunque dei metodi di controllo informatici per valutare la nostra produttività”. E così, in attesa che a tutti vengano forniti i mezzi per operare da casa, si continua a frequentare l’ufficio, dove l’unica misura di prevenzione adottata è stato il posizionamento a scacchiera, che permette quantomeno di mantenere la distanza di sicurezza di un metro. “Non ci sono le mascherine, come in tantissime altre aziende italiane ancora aperte. E anche se ci viene fornito il disinfettante, mi risulta difficile credere che non ci sia nessun rischio di contagio in una stanza in cui si trovano contemporaneamente 50 persone. Lavorare in queste condizioni ci ha tolto la serenità”.