Cinema

Coronavirus, è morta Lucia Bosè. Addio all’attrice madre del cantante Miguel: aveva 89 anni

Da quanto si apprende, l’attrice non era in buone condizioni di salute ed è morta a causa del Covid-19 in un ospedale di Madrid dove era ricoverata

Attrice per caso. Diva per sempre. Lucia Bosè è morta ad 89 anni, ricoverata a Madrid, in Spagna, dopo aver contratto il coronavirus. L’avevamo appena riabbracciata in Italia, lo scorso novembre, quando al Festival di Roma venne presentata la sua biografia. Ospite a Domenica In da Mara Venier, la Bosè con i capelli blu elettrico kieslowskiano, aveva ricordato con commozione una vita da donna di cinema, poi moglie tradita, infine gioviale signora e mamma del cantante e attore Miguel. È stato proprio il figlio, su Instagram a postare una foto tutta virata in blu, con Lucia sorridente, per l’estremo e doloroso saluto. Bella Lucia, di una bellezza semplice e intensa, un pallore luccicante incastonato tra gli occhioni scuri, formosa e allo stesso longilinea come una mannequin, che le permise di essere nel giro di un decennio, quello dei sessanta, senza mai perdere realismo e credibilità, un’attrice adatta a tutti i ruoli: contadina, operaia, borghese, aristocratica. “Ho sempre avuto un desiderio di ribellione, di non essere uguale agli altri”.

Bosè, all’anagrafe Borloni, era nata a Milano nel 1931, figlia di operai, in fuga dai bombardamenti, ragazzina mentre in Piazzale Loreto penzolavano i cadaveri di Mussolini e della Petacci, commessa in una pasticceria del centro, finisce a gareggiare e vincere nel 1947 a sedici anni Miss Italia (terza la Lollobrigida quell’anno) solo perché un amico le scatta una foto di nascosto e la spedisce agli organizzatori. A nemmeno diciotto anni è già a Roma nel giro di Luchino Visconti. Il regista milanese l’aveva già scovata nella pasticceria Galli mentre lei gli stava servendo un vassoio di marron glacé. “Diventerai un animale cinematografico”, le disse Visconti. Detto, fatto. È Michelangelo Antonioni a farla brillare in un dramma a tinte fosche come Cronaca di un amore nel 1950. Donna ambita, amante alto borghese clandestina, quasi sposa in nero, a suo agio in una parte da star consumata come quella di Paola che ritroverà il vecchio amante (Massimo Girotti) e cercherà di far fuori il marito. Contemporaneamente è una fiera contadina ciociara con fazzoletto e sandaloni da transumanza, mentre civetta con il pastore Raf Vallone in Non c’è pace tra gli ulivi del mai troppo apprezzato Giuseppe De Santis. Un film politico strutturato su una griglia più di genere, come tutti quelli di De Santis, che si vide sfuggire la Bosè per il suo Riso Amaro, quando i genitori dalla giovane miss Italia non vollero rischiare di lasciare la propria bambina nelle grinfie del cinematografo.

Eppure la Bosè è perfetta. Recita con vigore ed emana naturale sensualità. Per questo la vogliono in tanti. È protagonista de Le ragazze di Piazza di Spagna di Luciano Emmer (è Maria che diventa modella) o ancora con De Santis è una delle ragazze che cercano lavoro come dattilografa tutte pigiate su uno scalone di un vecchi edificio in un autentico capolavoro neorealista come Roma ore 11. Nel 1952 ancora con Antonioni ne La signora senza camelie si prende tutto il film su di sè. è Clara, ex commessa ora attrice sfruttata solo per la sua bellezza che per il suo talento. Nel ’55 è ancora un’operaia milanese sfollata ne Gli Sbandati di Citto Maselli. Nei primi anni cinquanta è fidanzata con Walter Chiari, ma nel 1955 ecco il grande amore. La Bosè parte per la Spagna, dove girerà Gli egoisti. Lascia Chiari solitario a Milano e quando il set si conclude ogni pomeriggio vive le notti di Madrid con entusiasmo. È lì che conosce il machissimo torero Luis Dominguin e con il quale, dopo nemmeno sei mesi si sposa. Matrimonio principesco negli Stati Uniti, poi raddoppiato più intimo e religioso in una piccola chiesetta spagnola. Ma dopo i primi tempi di trasporto e sentimento, con la Bosè che molla il cinema, Dominguin comincia a dare segno di palese insofferenza e tradisce ripetutamente la neomoglie (tra le amanti anche Lauren Bacall).

La separazione voluta infine a metà anni Sessanta dalla Bosè creerà scandalo nella patriarcale società spagnola dove soltanto gli uomini potevano fare richiesta di separazione. Nel 1956 nacque Miguel, nel ’57 Paola e nel ’60 Lucia. Soprattutto per loro, la Bosè dovette tornare in scena in un ambiente cinematografico un po’ più complicato rispetto all’industria dei primi anni cinquanta. Ecco allora Sotto il segno dello scorpione dei Taviani, il Satyricon di Fellini, il Metello con Bolognini, ma anche una folle e autarchica interpretazione in Arcana, un film low low budget di un irregolare Giulio Questi, dove la Bosè è una arcigna e misteriosa affittuaria di un appartamento milanese dedita ad atti di spiritismo. Dopo interlocutori titoli di serie B tornerà nel 1987 coprotagonista di Cronaca di una morte annunciata di Rosi e ancora nel 1999 in Harem Suare di Ferzan Ozpetek. Della sua travagliata storia d’amore con Dominguin spiegò di recente: “Il giorno stesso in cui ci siamo conosciuti mi ha detto che ci saremmo sposati, ma il giorno dopo già mi faceva le corna (…) Si faceva tutte le donne, se le trovava dappertutto. Sotto l’armadio, il letto ed era molto macho, doveva farsele (…) Io non soffrivo niente, sennò sarei morta. Ho accettato, era così grande l’amore che accettavo qualsiasi cosa”.