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La Cina monitora i contagi con app e cervelloni. Cosa diremo quando l’Occidente farà lo stesso?

La Cina ha offerto un aiuto sanitario importante all’Italia tra tonnellate di materiali e un gruppo di medici esperti della pandemia. Tutto ciò è stato apprezzato in primis dal ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. Eppure la minaccia del coronaviurs in Cina è stata vinta soprattutto in un modo: attraverso la tecnologia.

Un proprietario di un ristorante nella provincia del Sichuan, che aveva viaggiato nella provincia di Hubei, dove si trova Wuhan, ha dichiarato che la polizia si è presentata a casa sua e gli ha ordinato di mettersi in quarantena. Il governo cinese recentemente ha arruolato aziende tecnologiche per creare app per dare alle persone un punteggio di salute basato sulle loro condizioni e sulla cronologia dei viaggi. L’esempio più recente è stato Alipay Health Code, un’app sviluppata da una società consociata del gigante tecnologico Alibaba che assegna ai cittadini un codice colore per decidere automaticamente se sono liberi di spostarsi in una città o affrontare la quarantena.

Tutto ciò è il frutto del Sistema di Valutazione Sociale, una sorta di Big Brother con il compito di valutare persone, aziende e amministrazioni locali. Un monitoraggio diretto, diffuso ed effettivo, fondato su molteplici canali di approvvigionamento dei dati. Insomma una enorme rete di big data da condividere agevolmente con tutte le autorità coinvolte, in modo da regolare automaticamente ed immediatamente le conseguenze derivanti da questo sistema.

Nella città di Hangzhou che ha uno dei sistemi di credito sociale più sofisticati della Cina, si è arrivati ad elaborare delle liste nere. Le autorità locali hanno pubblicato i nomi di persone e parte dei loro numeri ID. Le loro informazioni rimarranno pubbliche per un anno sul sito web di Credit Hangzhou, dove chiunque può cercare e visualizzare i propri dettagli. Una volta trascorso un anno di vergogna pubblica, i trasgressori devono sottoscrivere un impegno per rimanere onesti e partecipare ad attività di volontariato se vogliono sistemare la loro lista di crediti. Ad esempio le donazioni di denaro o materiali per sostenere il lavoro correlato all’epidemia aumentano i punteggi a Rongcheng, nella provincia dello Shandong. Nella piccola città di Zhucheng, nella stessa provincia, anche il personale medico in prima linea subisce un aumento dei crediti.

Nonostante ciò, le mascherine che i cittadini cinesi sono costretti a indossare per difendersi dal Coronavirus, potrebbero compromettere il grande programma che dovrebbe essere completato su tutto il territorio cinese entro il 2020. Le mascherine impediscono di fatto ai telefoni cellulari e alle telecamere statali di riconoscere bene i volti, e quindi la possibilità di sottoporre i cittadini a un monitoraggio a 360 gradi da parte delle autorità cinesi.

La realtà in questi giorni mostra che punire o premiare il comportamento dei cittadini cinesi sulla base dei punteggi forniti dalle tecnologie invasive del 5G nei luoghi di lavoro, nelle strade, nelle case, rappresenta un attacco alla libertà delle persone e al loro sacro diritto alla privacy. Se pur frammentato il Big Brother cinese rappresenta un modello di autoritarismo digitale, difficilmente ad oggi applicabile in Italia come nel resto delle democrazie occidentali. Mentre in Occidente si procede con restrizioni graduali, solo in alcuni casi davvero rigide, in Cina 200 milioni di telecamere sono state aggiornate con software di Intelligenza Artificiale che riescono a individuare i cittadini che non rispettano gli obblighi.

Nel futuro della Cina ci sono biosicurezza, intelligenza artificiale e soprattutto 5G (vedi la recente inaugurazione della sede Huawei a Roma) in cui la Cina è davanti agli Stati Uniti. L’Italia e l’Occidente potrebbero doversi adattare in futuro per farsi trovare pronti a nuove minacce. A quel punto a Pechino si chiederà qualcosa di diverso rispetto alle mascherine!