Diritti

Per l’8 marzo regaliamo un po’ di educazione sessuale alle nostre figlie

Mi capita raramente di parlare di donne giovani. Forse perché, un po’ anche sbagliando, tendo a soffermarmi sui problemi che vivo di più. Quelli di una madre lavoratrice autonoma, con due bambini, tra l’altro maschi, ed entrate precarie, come tante libere professioniste italiane. Quelle poche volte che mi sono occupata di adolescenti, poi, l’ho sempre fatto per raccontare, con un filo di rabbia, una generazione che mi sembra spesso ingrata, indifferente ai problemi del mondo, dedita, specie le ragazze, a tatuarsi, farsi le ciglia finte, seguire Chiara Ferragni. E convinta di vivere come in una sorta di bolla extraterrestre dove qualcuno provvede al cibo, ai soldi senza che venga richiesto nessun impegno.

E invece mi ha colpito, e mi ha pure un po’ commosso, leggere il libro della scrittrice Marina Viola, figlia del giornalista Beppe Viola (che ha raccontato sempre in un bel romanzo), Loro fanno l’amore (e io m’incazzo), Sonzogno editore. Mi sembra utile parlarne in occasione della festa delle donne perché in definitiva trovo che il tema del corpo che inizia a crescere, svilupparsi e avere desideri sessuali sia veramente negletto. Se ne parla pochissimo, poco sui femminili dove appunto si scrive molto di donne più grandi, poco in tv, con l’eccezione di alcune serie (come Sex Education). Che le ragazze italiane a un certo punto comincino ad avere una vita sessuale è un non detto, un tabù sociale, nonostante il loro corpo appaia dappertutto in pose ammiccanti e semipornografiche. Una questione che resta di fatto un problema, e non piccolo, totalmente privato, cioè a carico delle famiglie. Senza che nessuno si chieda se queste abbiano o no gli strumenti adeguati.

È sulle famiglie infatti che grava il peso dell’educazione sessuale dei ragazzi e delle ragazze, specie in un paese come il nostro dove la scuola latita su questo fronte. Marina Viola in realtà abita a Boston e spiega che, invece, per fortuna la scuola lì in questo senso provvede. Ma si tratta di informazioni un po’ meccaniche, che le sue figlie trovano noiose, perché non mettono in ballo il tema più importante: quello delle emozioni. E invece di emozioni tra madri e figlie ce ne sono tantissime, pure troppe.

Il libro infatti è un racconto, in parte anche uno sfogo utilissimo per noi madri, dell’impotenza e delle difficoltà che ha una mamma quando capisce che le figlie iniziano a fare sesso. Paura, anzitutto, delle malattie, delle gravidanza. Dubbi su cosa fare, su come comportarsi, sul far venire o meno il ragazzo a dormire a casa o no. Contraddizioni, soprattutto, tra quello che si credeva di essere – madri libertarie e comprensive, progressiste, emancipate – e quello che la realtà invece mostra: e cioè madri che improvvisamente diventano dogmatiche, moraliste, severe, ansiose.

Nel romanzo, a questo proposito, ci sono episodi buffi, come quello del famoso ragazzo dell’Alabama che arriva a un certo punto a casa per conoscere la figlia più grande, Sofia, conosciuta via web. Marina Viola passa giorni a pulire e disinfettare una sorta di seminterrato dove il ragazzo avrebbe dovuto dormire. Sembra tutto perfetto, tranne il fatto che, appunto, una volta arrivato il ragazzo lascia cortesemente la borsa nella sua stanza per poi salire immediatamente in quella della ragazza.

Di fronte alla realtà che la spiazza, Marina Viola dichiara soprattutto di non sapere. E per questo inizia una sorta di viaggio, utile e divertente, per cercare spiegazioni su come comportarsi attraverso i consigli di amiche ed esperte. Quanto bisogna condividere con le proprie figlie? È giusto diventare amiche o no? Dove mettere il confine tra un ragionevole controllo e la loro libertà e privacy? Tra gaffe ed errori, alla fine l’autrice capirà varie cose. Primo, che è meglio fare poco che troppo: dare le giuste informazioni e far capire ai ragazzi che noi ci siamo sempre è tutto ciò che serve. Secondo, che mettere l’accento sulla paura – malattie, gravidanze etc – non aiuta le giovani donne, le quali, proprio come noi quando avevamo la loro età, sono piene di speranze e di desiderio di vivere un’esperienza positiva, cosa che di fatto la sessualità è.

Ma è bello parlare di questo libro oggi perché è un libro anche su di noi adulte. L’autrice confessa con sincerità spiazzante che in fondo la sessualità delle sue figlie l’ha messa in crisi perché le ha ricordato il proprio tempo passato. Il fatto di aver cinquant’anni, non essere più magra, né bella come sono belli i giovani, e di avere una vita dove il desiderio sessuale non ha più peso. Insomma c’è anche un po’ di invidia, che non viene nascosta, anzi raccontata con autenticità.

E per concludere il libro è istruttivo anche per un altro tema ancora: pur essendo incentrato sulle due figlie Emma e Sofia, Marina Viola parla anche della sessualità in relazione al primo figlio maschio, Luca, disabile. Un tabù dentro un tabù, perché di sesso dei disabili resta tema di sparuti articoli e la legge per istituire l’assistente sessuale per loro giace ancora in Parlamento. Marina Viola racconta senza pudore come il figlio sembri appagato dalla masturbazione, e ammette che probabilmente non avrà relazioni di coppia. Ma a me la storia di Luca ha fatto pensare anche alle tante disabili donne. Perché paradossalmente, anche quelle poche volte che si parla di sessualità dei disabili e di assistenti sessuali lo si fa – penso ai reportage letti in alcune riviste – usando immagini di maschi in sedia a rotelle. Pensare a una donna che masturbi un uomo disabile è già qualcosa di inimmaginabile. Pensare a un uomo che masturbi una donna, magari neanche giovane, disabile, portandola all’orgasmo, è qualcosa di completamente inaccessibile al nostro immaginario collettivo. E forse questo dice molto della misoginia, ancora vivissima, di questo paese.

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