Giustizia & Impunità

Palermo, così truffavano sui fondi Ue per l’agricoltura: “Entro l’anno abbiamo gli altri decreti e questi sono soldi”

Nelle carte della procura di Palermo le intercettazioni dei fratelli Giovanni Salvatore e Francesco Di Liberto, imprenditori originari di Belmonte Mezzagno a capo di un cartello di sedici società, tutte finanziate attraverso i fondi europei per l'agricoltura. Agevolati dal capo dell'Ispettorato provinciale, Filippo Cangialosi, diventato "il santo in paradiso" dei due negli uffici dell'ente. Tutti e tre adesso si trovano in carcere

“Entro l’anno abbiamo gli altri decreti e questi sono decreti che sono soldi che ci dobbiamo prendere noi, se ci approvano sti progetti ‘u malloppu nannagghiamo arrè (afferriamo di nuovo il malloppo)”. Così parlavano i fratelli Giovanni Salvatore e Francesco Di Liberto, imprenditori originari di Belmonte Mezzagno a capo di un cartello di sedici società, tutte finanziate attraverso i fondi europei per l’agricoltura. Agevolati dal capo dell’Ispettorato provinciale, Filippo Cangialosi, diventato “il santo in paradiso” dei due negli uffici dell’ente. Dopo aver incassato la prima tranche però il finanziamento è stato revocato e tutti e tre adesso si trovano in carcere assieme all’imprenditore Paolo Giarrusso, che consentiva ai due fratelli di far sparire in alcune società dell’est Europa i soldi incassati con le false fatturazioni. I finanzieri del Nucleo di polizia economico finanziaria hanno ricostruito tutti i favori concessi ai due fratelli da Cangialosi.

Nel corso delle indagini i pm della procura di Palermo (aggiunto Sergio Demontis e sostituti procuratore Laura Siani e Andrea Zoppi) hanno ricostruito accertamenti falsi e fatture emesse per operazione inesistenti. “Ricordo in particolare un macchinario che serviva a bruciare i peli dei maiali dopo che questi erano stati abbattuti – raccontò uno dei fornitori ai magistrati nel novembre 2018 – quando chiesi maggiori informazioni a Petrocelli (prestanome dei fratelli Di Liberto ndr), questi mi precisò che tale macchina non avrebbe dovuto funzionare, senza specificare altro”. “Mi dissero che doveva essere ben fatto per evitare che si capisse che i gruppi elettrogeni erano vecchi“, disse riferendosi al rivestimento in lamiera zincata di due vecchi gruppi elettrogeni. Nel febbraio 2018 finanzieri avevano perquisito l’ispettorato provinciale. “Tutto si sono portati“, diceva Cangialosi, riferendosi ai progetti dei fratelli Di Liberto, contenenti i documenti contraffatti.

Dal comune di San Cipirrello era arrivato un progetto per la costruzione di un infopoint, ma la documentazione presentata era incompleta. Il funzionario Cangialosi , secondo le accuse, si era adoperato su pressioni del sindaco Enzo Geluso, rimasto in carica fino allo scioglimento per mafia del consiglio comunale del giugno 2019, e adesso nello staff dell’assessore Edy Bandiera: è tra le persone finite agli arresti. “Ieri è venuto il sindaco – diceva Cangialosi intercettato – e gli abbiamo fatto vedere le carte! Gli ho detto ‘se non c’è nel piano triennale io non ti posso aìutare!’ dopodiché è uscito ha fatto una telefonata ed è entrato nella stanza del capo (D’Amico) ‘vedi che ci sono tutte cose! Siete voi che non li vedete!’, o che non li vedo? Ci aveva portato una dichiarazione che diceva un’altra cosa”. Il capo era Antonino Cosimo D’Amico, a cui da tempo era stato promesso il ruolo di capo di gabinetto dell’assessore. Oggi è ai domiciliari: secondo la Finanza era a conoscenza delle indagini così come il collega Giuseppe Tavarella che in un’intercettazione del febbraio 2018 gli chiedeva: “Si aspetta il sequestro per equivalente di 200mila euro, se è il caso io mi allontano dalla segreteria”

Nelle sue telefonate il dirigente dimostrava di essere ben integrato nella politica siciliana. A partire dai rapporti con l’avvocato Giuseppe Guttadauro, sposato con una delle figlie del fratello di Gianfranco Miccichè, viceré di Silvio Berlusconi in Sicilia e presidente dell’Ars. “Le carte dell’avvocato le abbiamo? dico tutte..” chiedeva un collega. “Distrutte! a posto”, diceva D’Amico. “Questo è il genero di Miccichè”, gli ricordavano. “Tu devi sapere che io con questo qua, con questo senatore Lumia (riferito all’ex presidente della commissione Antimafia, Beppe Lumia del Pd), ho un rapporto personale – diceva D’Amico a Guttadauro – per loro non so se può essere meglio o peggio, io sono 15 anni che sono con lui, c’è un rapporto serio nel senso, mio cognato (Biagio Sciortino) ha fatto il Sindaco a Bagheria”. “Ho fatto l’amministratore al consorzio di Bonifica, ho fatto 10 anni il direttore all’Istitutio Zootecnico, sono 7 anni che sono qua, quando c’è stato qualche momento di criticità lui mi ha chiamato per chiedermi informazioni”, aggiungeva.

“Sai ho parlato con l’Assessore, avevamo già precedentemente parlato con Gianfranco, eh in tempi non sospetti i trapanesi mi avevano, nell’ottica che faceva l’assessore Guaiana, che è il senatore D’Alì, quindici giorni fa ci sono andato a cena, dice: cominciamo il percorso per fare il capo di gabinetto a Guaiana!”. Così D’Amico ricostruiva all’avvocato Giuseppe Guttadauro una conversazione avuta alla vigilia delle elezioni regionali del 2017 con un ex dirigente generale dell’agricoltura alla Regione Siciliana. “Stamattina gli ho mandato il curriculum, ‘poi lo giro a Gaetano Armao, lo giro a Gianfranco (riferito sempre a Gianfranco Miccichè), attuale presidente dell’Ars’, gli ho detto va bhe”, aggiungeva D’Amico a Guttadauro. Poi vennero nominati un altro assessore e un altro capo di gabinetto. E D’Amico era pronto a virare su un altro ruolo: “Ma Potrei tentare di fare il Direttore generale”.

AGGIORNAMENTO

Segnaliamo che, in data 30 giugno 2021, il Gip presso il Tribunale di Palermo ha disposto l’archiviazione del procedimento nei confronti di Giuseppe Guttadauro ed altri