Scuola

Coronavirus in Veneto, dal “siamo in guerra” alla “pandemia mediatica”: la marcia indietro di Zaia sotto le pressioni degli imprenditori

Il presidente della Regione si è esposto fin dai primi casi per chiedere restrizioni. Salvo poi cambiare strategia di fronte alle prime accuse di voler bloccare gli imprenditori. E ora è in prima fila per chiedere la riapertura delle scuole

Dall’allerta massima per l’emergenza coronavirus alla retromarcia, nel giro di pochi giorni, sotto le pressioni del mondo produttivo del Nord-Est. Anche il presidente leghista del Veneto Luca Zaia si è affrettato a cambiare strategia per evitare l’effetto “boomerang”, preoccupato dalle accuse di decisioni depressive da un punto di vista economico e sociale. E allora ha attaccato quella che ha definito “pandemia mediatica” e “psicosi internazionale”, parlando di un’epidemia amplificata se non addirittura inventata dai mezzi di comunicazione di massa. Il tutto mentre, intervistato da Antenna Tre Nord Est, scivolava sulla frase “abbiamo visto i cinesi mangiare i topi vivi o cose del genere”, aprendo un caso internazionale di cui ha dovuto scusarsi.

Quando venerdi 21 febbraio si verificano i primi casi sospetti a Vo’ Euganeo, con il decesso di un pensionato nell’ospedale di Schiavonia, il governatore convoca immediatamente l’Unità di crisi a Padova. Dichiara che si è pronti a fare i tamponi a tutti i cittadini e che la “vicenda non è da prendere sottogamba”. Parole precise: “Noi siamo molto preoccupati anche perché questo virus è un virus maledetto e assolutamente problematico, sorprende ora dopo ora”. Ecco spuntare l’annuncio di un cordone sanitario e di tamponi a tutti: “Abbiamo deciso in via preventiva di far fare il tampone a tutti i cittadini di Vo’ e a tutti coloro che si presenteranno in tutto il Veneto nei ricoveri ospedalieri con sintomi influenzali importanti”.

L’allarme continua anche sabato e domenica, mentre spuntano nuovi casi nel Veneziano. Zaia annuncia che saranno vietate “tutte le forme di aggregazione” e che saranno chiuse le scuole. “Chiediamo comprensione e collaborazione di tutti i cittadini, non è un momento facile. Il virus ha una bassa letalità, ma può essere drammatico su persone che hanno già altre patologie”. Poi l’ordinanza ministeriale, ma che Zaia rivendica di essere stata messa a punto su sua proposta. Chiusi anche cinema, teatri, chiese e biblioteche. “E’ un provvedimento duro, ma non possiamo permetterci nulla”. E siccome per tutti è il governatore delle emergenze, dalle alluvioni al Vaia, alle acque alte dello scorso autunno, una sua frase non può passare inosservata: “Questa è la vicenda più grave che mi sono trovato ad affrontare”. E nelle interviste dichiara ancora: “Il virus non ha colori politici. Siamo in guerra, in Veneto come a Roma. E al momento non c’è altro rimedio che isolare i focolai”. Chiede pazienza ai cittadini che, secondo lui, “mi conoscono, sanno che non è la prima volta che prendo provvedimenti impopolari, ma sanno che lo faccio per il bene comune”.

Si bloccano tutte le feste e anche il Carnevale di Venezia deve alzare bandiera bianca, seppure soltanto alla sera di domenica 23 febbraio. Poi scoppia l’emergenza nell’ospedale di Treviso, con il secondo decesso e la chiusura del reparto di Geriatria. E Zaia adombra perfino restrizioni maggiori.

Poi però accade qualcosa. Gli imprenditori cominciano a dichiarare che le misure stanno uccidendo l’economia, sono la premessa di una recessione senza precedenti. Ecco che Zaia comincia a cambiare linea, la colpa degli effetti depressivi non è delle misure adottate dalle autorità, ma di giornali e televisioni: “Questa è una pandemia mediatica. Il coronavirus paga anche un danno mediatico. Perché è vero che dopo pochi minuti dalla scoperta dei primi due casi in Veneto, già eravamo in tutte le homepage dei più grossi quotidiani a livello internazionale”. Comincia ad ammettere, riferendosi all’aumento dei casi scoperti: “Forse siamo stati troppo diligenti: chi cerca trova e chi non cerca non trova”. E ancora: “Se si ferma il pil del Veneto, si ferma l’Italia”. Fino all’annuncio di voler riaprire le scuole. Così, se il ministro deciderà diversamente, la colpa ricadrà sul governo.