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Milano Fashion Week si tinge di verde con lo show di Gilberto Calzolari. Ma la moda sta davvero diventando più green?

L'analisi di Mediobanca rivela un settore in chiaroscuro: "Ma per ridurre il proprio impatto ambientale l’industria della moda deve fare di più che diffondere messaggi ecologici”. Altrimenti si rischia il greenwashing, ossia una mera operazione di facciata

Ci sono bottiglie in plastica che, riciclate a dovere, diventano tessuti di raso semilucido e morbidissimo. Ci sono teli di ombrelli rotti che trovano una seconda vita come abiti eleganti, con il duomo meneghino stampato sopra. Filati rigenerati e sete organiche al 100, lane che si alternano a vernici, capi che mixano consistenze e colori che potrebbero sembrare incompatibili. La Milano fashion week (Mfw) – che anima il capoluogo lombardo fino a lunedì 24 febbraio – è cominciata così: con le creazioni di Gilberto Calzolari, “brand di lusso Made in Italy dal cuore verde”, come racconta l’account Instagram dello stilista.

Vincitore del Green carpet fashion award Franca Sozzani nel 2018 – prestigioso riconoscimento per giovani talenti della moda ecologica – Calzolari ama ripetere che “eleganza e bellezza devono procedere mano nella mano con il rispetto per il pianeta”. Il suo show, interamente dedicato “a un sistema che sta andando in tilt”, è stato scelto dalla Camera nazionale della moda italiana come appuntamento inaugurale della kermesse milanese con un chiaro intento: portare in passerella la sostenibilità prima di tutto.

“Sostenibile” è la parola chiave del nostro tempo, da Greta Thunberg al design di scarpe e borse. Lo dimostra anche l’ultima analisi di Mediobanca Ricerca e Studi (Mbres), che ha analizzato l’andamento delle maggiori imprese della moda in Italia, mettendole a confronto con 46 aziende europee del settore (che nel 2018 hanno fatturato più di 900 milioni di euro). Secondo lo studio, l’83 per cento di questi gruppi del fashion ha deciso di stilare per i propri clienti un report sulla sostenibilità aziendale, a prova del fatto che si tratta di un tema caldo, a cui sono sensibili soprattutto i giovani.

Ma se la sostenibilità come obiettivo è fuor di dubbio, come raggiungerla in pratica è meno chiaro. I dati mostrano trend discordanti: cresce l’uso di energie rinnovabili – +2,8 per cento in media in un anno a livello europeo, con la metà delle case produttrici italiane che hanno dichiarato di fare affidamento al 100 per cento su fonti green nel 2019 – ma aumenta anche la quantità di anidride carbonica emessa nel complesso (+5,5 per cento) e quella di rifiuti generati (+5 per cento). Molte aziende, grazie al successo nelle vendite, hanno intensificato la produzione. Ma l’incremento dei volumi per alcuni marchi non basta a giustificare l’impennata di CO2 presente nell’aria e di scarti di filiera a carico dell’ambiente.

Il quadro ambientale che emerge dallo studio Mbres è frutto di comportamenti agli antipodi. Riguardo alle emissioni, si oscilla tra imprese che le hanno ridotte del 22 per cento e altre che le hanno incrementate di oltre il 60 per cento. Quanto a rifiuti, la situazione è analoga: ci sono compagnie che li hanno limitati fino al 37 per cento del totale e altre dove sono aumentati del 31 per cento circa.

È vero che molte iniziative per la sostenibilità sono nate da poco: non si può pretendere di notare differenze sostanziali nell’immediato, eppure a lungo termine dovrebbero dare frutto. “Ma per ridurre il proprio impatto ambientale l’industria della moda deve fare di più che diffondere messaggi ecologici”, mettono in guardia dal centro di ricerca della banca d’affari fondata da Enrico Cuccia. Detto altrimenti: tutto ciò che è green è il benvenuto, purché non diventi greenwashing, ossia una mera operazione di facciata.