Calcio

Antonio Conte condannato dalla mancanza di coraggio: chi gioca per pareggiare spesso perde (partite, campionato e credibilità)

FATTO FOOTBALL CLUB - La chiave del match nei venti minuti che intercorrono fra il rigore del pareggio di Immobile e il vantaggio di Milinkovic: Inzaghi ha cambiato per provare a vincere, il tecnico nerazzurro ha fatto nulla e ha perso, come in tutti gli scontri diretti della stagione

Recita un vecchio adagio, “chi non risica, non rosica”. Nel pallone spesso funziona così: chi gioca per pareggiare, perde. È più o meno quello che è successo ieri sera all’Inter di Antonio Conte: è andata a Roma pensando che in uno scontro diretto un punto sarebbe andato bene, giocando una partita tutta di rimessa perché aveva già funzionato a Napoli e tutto sommato pure nel primo tempo, chiuso addirittura in vantaggio, però poi ha subito ingenuamente due gol ed è tornata a casa senza nulla in mano, ritrovandosi al terzo posto in classifica.

Della sfida scudetto dell’Olimpico (se lo è stata per davvero lo dirà il tempo) si potrebbe discutere a lungo. Ad esempio, ognuno potrà avere la sua opinione su quanto in un match così equilibrato abbia inciso l’assenza del portiere titolare dell’Inter e le incertezze di Padelli. Qualcos’altro ha segnato la partita ancor di più della mancanza di Handanovic. Un momento. Quei venti minuti che intercorrono fra il rigore del pareggio di Immobile e il vantaggio di Milinkovic. Vissuti nella frenesia dell’Olimpico sembravano un istante, sono stati in realtà un tempo lungo, abbastanza per cambiare la partita. Lo ha fatto Inzaghi, ad esempio, con un doppio cambio studiato e al contempo aggressivo, Correa e Lazzari, per mettere energie fresche, risolvere i problemi (quello del disastroso Jony a sinistra) e crearne agli avversari, provare a dare un’impronta al match. In quei venti minuti la Lazio ha attaccato, pressato, provato, e alla fine ha vinto. Conte, invece, non ha fatto nulla. Ha aspettato, come la sua Inter. Lo ha fatto per tutta la partita in realtà. Ma se nel primo tempo poteva avere un senso, e aveva anche funzionato, dopo aver incassato ingenuamente il pareggio ed essersi trovata nuovamente in balia degli avversari non poteva più bastare. È lì che è nata la vittoria della Lazio, anzi, la sconfitta dell’Inter. Quando i nerazzurri hanno ripreso a giocare, anche con l’ingresso di Eriksen, era ormai troppo tardi.

L’utilizzo del campione danese merita un capitolo a parte. È evidente che Marotta non ha corteggiato per mesi e convinto a suon di milioni uno dei centrocampisti più richiesti al mondo per fargli fare la panchina a Vecino. È altrettanto evidente, però, che in questo momento Conte fatica a trovargli un posto nella sua formazione. Le due punte non si toccano, la regia di Brozovic nemmeno, Eriksen dovrà giocare mezzala ma con lui in campo l’Inter perde quegli automatismi che per il suo mister sono quasi dei dogmi: lo si è visto a Udine e da allora non a caso il danese non è stato più titolare. Di questo non c’è da stupirsi, ci vorrà tempo: Conte ieri ha schierato la formazione che gli dava più garanzie. Semmai, poteva essere inserito prima, per provare a vincere la partita e non solo a pareggiarla. Ma anche questo rientra in un discorso più ampio, che riguarda tutta l’Inter e il suo allenatore, e forse nasce da lontano.

Ottobre 2019, Inter-Juventus. E poi ancora: Borussia Dortmund, Roma, Barcellona, Atalanta, Napoli in Coppa Italia, adesso la Lazio. Da quando è iniziata la stagione, fin qui un’ottima stagione, ogni volta che i nerazzurri si sono trovati a giocare contro una grande squadra, oppure una partita decisiva, hanno steccato: a volte hanno proprio perso, altre si sono accontentati (e col senno di poi è stato forse anche peggio), sempre è mancato qualcosa. Nei big match l’Inter ha vinto soltanto con la Lazio all’andata (ma non era certo la sfida scudetto di ieri), e contro Milan e Napoli (insomma, non proprio delle “grandi” quest’anno); lo stesso derby di una settimana fa, poi finito in trionfo, era stato approcciato malissimo. I nerazzurri devono fare un ultimo passo per la consacrazione definitiva: comprensibile, per un gruppo rifondato in estate che non vince nulla da un decennio, solo che ancora non riescono farlo. È come se mancasse qualcosa. Forse il coraggio. E nel calcio può succedere di tutto, che uno scudetto lo vinca la squadra che non è la più forte, o che non se lo merita, o che non ha un secondo portiere all’altezza. Ma non una squadra senza coraggio. E a volte l’Inter di Antonio Conte sembra non averne.

Twitter: @lVendemiale