Scienza

Cosa sappiamo del coronavirus cinese e quale unica reale protezione può servirci

L’epidemia apparsa in Cina, nella città di Wuhan, negli ultimissimi giorni del 2019 e dovuta al coronavirus 2019-nCov ha raggiunto circa 8.000 casi, 170 dei quali con esito fatale. La Cina è il paese più colpito, ma un piccolo numero di casi è stato esportato al di fuori dei suoi confini, anche negli Usa e in Europa. Il virus è stato caratterizzato dagli scienziati cinesi, che ne hanno pubblicato il genoma e in molti paesi si sta attivamente cercando di produrre un vaccino. Quanto è pericolosa questa nuova epidemia? Al momento è difficile dare informazioni certe e sia il Center for Disease Control che l’Organizzazione Mondiale della Sanità considerano questa nuova epidemia potenzialmente molto pericolosa.

Nuove malattie infettive emergono costantemente, a causa delle mutazioni genetiche dei microorganismi; apparentemente il 2019-nCov deriva da un virus dei pipistrelli che ha acquisito la capacità di infettare l’uomo e che si sarebbe diffuso inizialmente da mercati alimentari. Di fatto gli animali, selvatici o di allevamento, utilizzati a scopo alimentare sono la prima sorgente di molti se non di tutti i virus umani. Una volta che il virus ha acquisito la capacità di infettare l’uomo, come è accaduto per 2019-nCov, la sua capacità di dare vere e proprie epidemie e diffondersi all’intera popolazione umana dipende essenzialmente da tre fattori: la modalità di contagio, la probabilità di contagio e la durata del periodo in cui il malato è infettante e diffonde il virus nell’ambiente. Nel caso di 2019-nCov, la malattia colpisce soprattutto le vie respiratorie ed il virus apparentemente è trasmesso all’esterno con le microscopiche goccioline di saliva emesse dal paziente con la tosse. Questa modalità di contagio è molto comune, ed è condivisa ad esempio dall’influenza e dal morbillo; è anche una modalità di contagio molto efficace.

La probabilità del contagio dipende da quanto virus viene emesso e da quanto esso rimane vitale nell’ambiente esterno. E’ un parametro molto variabile e può aumentare se si verificano nel virus nuove mutazioni. Infine il periodo in cui il malato è infettante per la gran parte dei virus trasmessi per via respiratoria, e probabilmente anche per 2019-nCov, va dagli ultimi giorni del periodo di incubazione (nei quali il paziente è asintomatico) fino alla guarigione della fase febbrile.

2019-nCov è un virus abbastanza “tipico” e simile ad altri coronavirus già emersi con la Sars (Severe Acute Respiratory Syndrome) e con la Mers (Middle East Respiratory Syndrome). Rispetto a questi suoi fratelli maggiori, 2019-nCov presenta una mortalità meno elevata (circa 2-3% dei casi, rispetto a circa 10% per la Sars e circa 30% per la Mers). Questi valori di mortalità sono molto elevati: per avere un raffronto, la mortalità del vaiolo oscillava nelle diverse epidemie tra il 30% e il 2%; quella del morbillo in Europa è pari a circa lo 0,03% (ma può essere oltre trenta volte più alta nelle popolazioni che soffrono di condizioni di denutrizione); quella dell’influenza è di solito bassa ma nelle epidemie più gravi ha superato il 2%.

A differenza del vaiolo, del morbillo e dell’influenza, che avevano o hanno probabilità di contagio molto elevate, spesso superiori al 10% della popolazione suscettibile esposta, nel caso di 2019-nCov la probabilità del contagio è relativamente bassa, anche se probabilmente superiore a quella della Sars e della Mers: infatti a distanza ormai di un mese dal suo apparire, all’interno di una comunità popolosa e sensibile, il numero dei casi registrati è di 8.000 su una popolazione potenzialmente esposta di 6-11 milioni. Dall’andamento temporale dei casi segnalati si stima che il picco dell’epidemia potrebbe essere raggiunto tra i mesi di febbraio e aprile. In ultima analisi appare al momento improbabile che 2019-nCov possa causare una pandemia mondiale e danni maggiori di Sars e Mers. Ovviamente, nuove mutazioni del virus potrebbero rendere la malattia molto più contagiosa.

L’unica reale protezione contro le infezioni virali di questo tipo è il vaccino. I farmaci antivirali sono pochi e non sempre efficaci e le misure di contenimento delle epidemie ne rallentano la diffusione, ma non possono impedirla, anche perché la malattia non è facilmente diagnosticabile durante il periodo di incubazione e quindi molti casi possono sfuggire ai tentativi di contenimento.