Cinema

Almanacco del Cinema, Fellini e Monicelli per guardare al futuro. E Marco Bellocchio annuncia una serie tv su sul sequestro di via Fani

Spunti e suggestioni - ricchi, interessanti e ben documentati - sono quelli indicati fra i contenuti della rivista diretta da Paolo Flores d’Arcais, fra i tradizionali Iceberg, saggi e conversazioni

“Monicelli, e lei che fa per i giovani?” “Invecchio”. Laconico, Mario che odiava l’appellativo “maestro” offre il miglior assist possibile all’esergo del nuovo Almanacco del cinema di MicroMega, il primo del 2020, almanacco “illuminato” che guarda al futuro del cinema italiano partendo da due giganti – Fellini e Monicelli – che “certi futuri” li avevano già previsti e, a loro modo, raccontati. In vendita dal 23 gennaio, il volume è stato presentato in un incontro alla Casa del cinema di Roma davanti un tavolo di ospiti rilevanti a partire da Marco Bellocchio e Carlo Verdone.

Diversi in tutto ma connessi dai felici vissuti della nostra cinematografia, alla comune domanda “cosa dobbiamo aspettarci nel prossimo futuro del nostro cinema?” Verdone e Bellocchio hanno reagito coi propri amarcord: per il primo legato al fare e al “farsi” della commedia italiana così mutato nella direzione della solitudine, per il secondo alle parole dell’ideologia che, con il crollo di questa, sono diventate obsolete se non insensate.

“Dalla fine degli anni Cinquanta fino ai Settanta inoltrati, gli sceneggiatori si frequentavano fra loro, erano una comunità. Io ho un gran bel ricordo – anche raccontato – di queste amicizie che si trovavano a mangiare da Otello” ha rammentato il regista e attore romano aggiungendo il rammarico di vedere tutto questo finire “dai primi anni ’80, io con Troisi e Nuti abbiamo cercato di intercettare i cambiamenti usando il nostro spirito di osservazione ma ci siamo accorti che eravamo per conto nostro, da soli. Col tempo l’isolamento è diventata sfida, chi arriva prima, chi arriva meglio, tutti contro tutti. E questo retaggio ce lo siamo portati avanti fino ad oggi”.

Da parte sua, invece, il cineasta emiliano da sempre fautore del cosiddetto “cinema impegnato” – per usare una semplificazione – si è accorto di quanto il linguaggio corrente per lui naturale sul finire degli anni ’60 “oggi faccia ridere i ragazzi. Ed è naturale che sia così, se andiamo loro a parlare di ‘arma del cinema’ o di sottoproletariato. Tuttavia se questo è specchio di come sia cambiata la società, è anche sintomo di quanto la caduta ideologica abbia perforato il significato delle cose. Sto lavorando a una serie tv sul sequestro di Via Fani e mi sto accorgendo quanto sia complesso spiegare ai nuovi attori il significato e il senso profondo di quei concetti, dei concetti della lotta insomma”.

Difficile dare riposte ai possibili futuri, più semplice è ripercorrere i meccanismi che hanno condotto al presente per capire gli elementi riproponibili, quelli di continuità e discontinuità del sentire e del rappresentare.

Spunti e suggestioni – ricchi, interessanti e ben documentati – sono quelli indicati fra i contenuti della rivista diretta da Paolo Flores d’Arcais, fra i tradizionali Iceberg, saggi e conversazioni. Ecco dunque Iceberg 1 con un omaggio a Mario Monicelli curato da Mario Sesti, la sezione Maestri in cui campeggiano Hitchcock, Martone, Coppola, Kore-eda, Kubelka e Tornatore, Iceberg 2 che omaggia Federico Fellini in celebrazione del suo centenario dalla nascita e Iceberg 3 dedicato ai mestieri del cinema, un saggio di Alain Badiou su Cinema e filosofia, per chiudere con la macro-sezione Cineteca in cui una selezione di opere che hanno segnato l’immaginario collettivo è presentata da un gruppo di critici e storici.