Lavoro & Precari

Foodora, la Cassazione dà ragione ai rider: “A loro le tutele del lavoro subordinato”. Respinto ricorso di Foodinho

Il 10 gennaio del 2019 nel processo in appello il Tribunale di Torino aveva stabilito per i lavoratori che avevano fatto causa il risarcimento dei pagamenti e dei contribuiti previdenziali non goduti, facendo esplicito riferimento al quinto livello del contratto collettivo logistica-trasporto

I rider vanno tutelati come lavoratori subordinati. È quanto deciso dalla Cassazione, che ha respinto il ricorso di Foodinho, nel contenzioso tra Foodora e cinque rider di Torino. Per la Suprema Corte, ai ciclofattorini delle consegne a domicilio vanno applicate le tutele del lavoro subordinato, come previsto dal Jobs Act, nella forma ‘ibrida’ delle “collaborazioni organizzate dal committente“. Respinto, come detto, il ricorso della società di cibo a domicilio contro quanto era stato deciso il 10 gennaio del 2019 nel processo in appello del Tribunale di Torino, che aveva stabilito per i lavoratori che avevano fatto causa a Foodinho il risarcimento dei pagamenti e dei contribuiti previdenziali non goduti, facendo esplicito riferimento al quinto livello del contratto collettivo logistica-trasporto.

LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE – “Dal primo gennaio 2016 – spiega la sezione Lavoro della Cassazione (sentenza n. 1663) – si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato tutte le volte in cui la prestazione del collaboratore abbia carattere esclusivamente personale e sia svolta in maniera continuativa nel tempo e le modalità di esecuzione della prestazione, anche in relazione ai tempi e al luogo di lavoro, siamo organizzate dal committente”. Questo perché, spiegano i giudici, “quando l’etero-organizzazione, accompagnata dalla personalità e dalla continuità della prestazione, è marcata al punto da rendere il collaboratore comparabile ad un lavoratore dipendente, si impone una protezione equivalente e, quindi, il rimedio dell’applicazione integrale della disciplina del lavoro subordinato”. E ancora: “Si tratta di una scelta politica legislativa volta ad assicurare al lavoratore la stessa protezione di cui gode il lavoratore subordinato – scrivono ancora i giudici di Cassazione – in coerenza con l’approccio generale della riforma, al fine di tutelare prestatori evidentemente ritenuti in condizione di ‘debolezza’ economica, operanti in una ‘zona grigia’ tra autonomia e subordinazione, ma considerati meritevoli comunque di una tutela omogenea”.

PRIMO E SECONDO GRADO DI GIUDIZIO – L’anno scorso, la sentenza della Corte d’Appello di Torino aveva stabilito che i rider andavano pagati non con mance, contentini, cottimo, ma con somme calcolate in base a quanto prevede il quinto livello del contratto nazionale per il settore logistica e trasporto merci. Una decisione che aveva accolto una parte sostanziale del ricorso presentato da cinque ex rider della multinazionale di consegna di cibo a domicilio. In primo grado, nel giugno del 2018, tutte le richieste erano state respinte.”Con la nostra azione legale – aveva detto un anno fa uno dei giovani ricorrenti – ci abbiamo messo la faccia. Ma dietro di noi c’è un esercito di migliaia di persone che, in questo e in altri settori, lavorano in condizioni semplicemente inaccettabili“. I cinque non erano inquadrati come dipendenti: operavano su chiamata, in base alle necessità della ditta. Contestualmente la Corte ha condannato l’azienda a versare ai ricorrenti una parte delle spese legali, quantificate in circa 11 mila per il primo grado e in 10.400 euro per l’appello.

LE REAZIONI, LEU: “VITTORIA, ORA SIANO GLI ISPETTORI A FERMARE IL COTTIMO”
Vittoria! Ora che la giustizia si è espressa in modo definitivo, siano gli ispettorati del lavoro a fermare il cottimo, e la politica dia pieni diritti, dignità e sicurezza a questi lavoratori” hanno commentato Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana-Leu e il Capogruppo di Liberi Uguali Verdi al Consiglio regionale del Piemonte, Marco Grimaldi. “C’è una nostra legge che ormai da un anno vieta la retribuzione a cottimo in Piemonte – hanno aggiunto – Come ha ribadito a inizio anno hanno concluso, “ci dice che non possono esistere situazioni di questo genere, con lavoratori obbligati ad essere sfruttati e considerati cittadini e lavoratori di serie B”.

La Cgil, invece, ha proposto l’istituzione di contratti nazionali ad hoc per i rider: “Devono avere le stesse tutele dei lavoratori subordinati. Accogliamo con favore la sentenza della Cassazione che lo conferma, respingendo il ricorso della piattaforma di Food Delivery Foodinho. Come sosteniamo da sempre con le nostre categorie – ha spiegato segretaria confederale della Cgil Tania Scacchetti – i contratti collettivi nazionali, a partire da quello della logistica, devono diventare lo strumento di regolazione del settore”. “Pur avendo necessità di approfondire il testo della sentenza – ha aggiunto la dirigente sindacale – ci pare che quanto stabilito dalla sezione Lavoro della Cassazione vada nella direzione di avvicinare sempre più il lavoro dei riders a quello subordinato. Si conferma infatti la etero organizzazione di tale impiego, e pertanto l’opportunità di applicare ad esso la disciplina del rapporto di lavoro subordinato”. Il sistema delle multinazionali del Food Delivery, ha detto ancora, “non può più nascondersi dietro il falso mito del ‘nuovò lavoro e della completa autonomia della prestazione. Come sosteniamo da sempre con le nostre Categorie – ha concluso Scacchetti – i contratti collettivi nazionali, a partire da quello della logistica, devono diventare lo strumento di regolazione del settore”.

ASSOCIAZIONE RIDER: “NOI LAVORATORI AUTONOMI” – “Noi chiediamo maggiori tutele ma ci dissociamo dal definirci adesso come in futuro subordinati perché il lavoro in sé non può essere concepito diversamente”. Parola del rider Nicolò Montesi presidente dell’Anar (Associazione nazionale autonoma dei riders). Sì a “più tutele” ma “definendoci comunque lavoratori autonomi“, spiega il rider protagonista delle proteste che avevano accompagnato l’iter del dl imprese, il provvedimento, diventato legge a fine ottobre, che riserva un capitolo proprio alla disciplina di ciclo-fattorini. “Noi possiamo interrompere in qualsiasi momento la collaborazione e collaborare nel frattempo con più piattaforme decidendo quante ore lavorare, dove lavorare e potendo rifiutare ordini” ha spiegato Montesi dopo la sentenza della Cassazione. “La piattaforma in questione, in questo caso Foodora era organizzata in modo completamente diverso rispetto alle altre piattaforme” e “non possiamo paragonare le loro modalità di assunzione con quelle di oggi”.