Mafie

Camorra, chiedevano il pizzo a imprenditori: 20 arresti. Gli inquirenti: “Il capo degli estorsori era in prova ai servizi sociali”

Tra le persone destinatarie delle misure cautelari emesse dal gip anche il boss Luigi Di Martino, detto "il profeta", già in carcere al 41 bis e i suoi due fedelissimi. L'accusa è di associazione per delinquere di stampo camorristico, estorsione e traffico di sostanze stupefacenti

“Oggi fai latte, alluminio e legno”: può sembrare la lista della spesa ma in realtà erano gli imprenditori, secondo la Dda di Napoli, ai quali Giovanni Cesarano – presunto braccio destro del boss Luigi Di Martino, detto “il profeta” (in carcere al 41 bis) – doveva chiedere il “pizzo” attraverso il suo factotum. L’intercettazione è negli atti dell’inchiesta giudiziaria della Guardia di Finanza di Castellammare e Torre Annunziata, che ha portato oggi a 20 misure cautelari nei confronti di altrettanti presunti appartenenti al clan Cesarano di Castellammare di Stabia. Giovanni Cesarano (anche lui già in carcere), viene considerato dagli inquirenti il capo degli estorsori del clan: quando viene intercettato è in prova ai servizi sociali. Sta scontando 25 anni di carcere per un omicidio commesso in Germania, quello di Giuseppe Ambruoso. Ogni giorno, alle 8,30, prende servizio come operaio in una ditta che lavora l’alluminio. Ma prima di entrare in servizio si incontra con Falanga e gli fa la lista degli imprenditori, settore per settore, da taglieggiare.

Tra questi figura anche dolfo Greco, l’imprenditore stabiese del latte (finito sotto indagine in un’altra inchiesta, ndr). La figura di Giovanni Cesarano emerge per la particolare prepotenza che usa anche nei confronti dei suoi sottoposti, quelli incaricati di ritirare il “pizzo”. In un’altra intercettazione viene ascoltato dagli investigatori mentre, con l’uomo considerato il suo factotum Aniello Falanga, intimidisce i suoi uomini: “Se ti dico struppialo (riducilo male, ndr), tu vai là e struppialo… se non paghi (gli dice di riferire alla vittima, ndr) ti siedono sulla sedia a rotelle e ne esci con il cucchiaino”. Agli indagati sono contestati i reati di associazione per delinquere di stampo camorristico, estorsione e traffico di sostanze stupefacenti.

Il controllo del territorio da parte dei Cesarano, secondo la magistratura, “è pervasivo e asfissiante”. Il denaro veniva poi impiegato per comprare la droga e per stipendiare gli affiliati e i carcerati. E qui l’altra attività redditizia del clan: i boss di Castellammare di Stabia comprava la cocaina dai “broker” del clan Contini di Napoli, una delle famiglie della cosiddetta Alleanza di Secondigliano, per poi rivenderla nelle sue zone, tra Castellammare, Pompei, Scafati e Santa Maria la Carità, così come ai clan della Piana del Sele, nel Salernitano, come i PecoraroRenna. Quest’ultimi erano i “picchiatori” personali di Cesarano che chiamava quando c’erano da “ammorbidire” con le percosse gli imprenditori che si opponevano al pagamento del pizzo.