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Russiagate, Palazzo Chigi pubblica il testo dell’intervista al ministro Usa William Barr: “Non ha mai citato l’Italia”

Il testo stenografico dell’intervista, in inglese e nella sua traduzione in italiano, è stato diffuso nel pomeriggio a Palazzo Chigi. Sugli incontri tra l’attorney general e i nostri servizi d'intelligence il premier Conte è stato ascoltato dal Copasir

Il ministro della giustizia americano non ha mai citato l’Italia come un Paese con informazioni utili alla controindagine sul Russiagate. Lo fa sapere Palazzo Chigi ed è una smentita importante: se il ministro americano non ha definito in quel modo l’Italia, il premier Giuseppe Conte non può aver ordinato ai nostri 007 di condividere con lui informazioni rilevanti, come ha sostenuto davanti al Copasir. La presidenza del consiglio diffonde il testo stenografico dell’intervista, in inglese e nella sua traduzione in italiano, che il ministro Usa William Barr ha concesso a Fox tv.”Alcuni dei paesi che John Durham pensava potessero avere alcune informazioni utili all’indagine (sul Russiagate, ndr) volevano preliminarmente parlare con me della portata dell’indagine, della natura dell’indagine e di come intendevo gestire le informazioni riservate, e così via. Quindi ho inizialmente discusso di queste questioni con quei paesi e li ho presentati a John Durham, e ho creato un canale attraverso il quale il signor Durham può ottenere assistenza da quei paesi”. Durham è il procuratore che sta conducendo una contro indagine sul Russiagate. “Ho inizialmente discusso di queste questioni con quei paesi e li ho presentati a John Durham, e ho creato un canale attraverso il quale il signor Durham può ottenere assistenza da quei paesi”, ha spiegato Barr non citando, nello specifico, l’Italia. Il primo riferimento al nostro paese era apparso in un lancio dell’agenzia Adnkronos alle 14.25 del 28 ottobre e poi in altri lanci.

Sul Russiagate da settimane non si placa la polemica. La vicenda ha costretto il presidente del Consiglio a riferire al Copasir su quanto riportato dai giornali nelle ultime settimane sul filone italiano di una delle due controinchieste voluta da Donald Trump sulle presunte origini del Russiagate. Il premier aveva raccontato di non aver mai parlato con Barr e che “i nostri servizi di intelligence sono estranei alla vicenda“. Su mandato del presidente degli Stati Uniti, l’attorney general dell’amministrazione Usa aveva chiesto informazioni su Joseph Mifsud, docente maltese passato per la Link Campus University di Roma, che nel 2016 avrebbe passato a George Papadopoulos, consulente dell’allora candidato Trump, la ‘polpetta avvelenata’ delle email di Hillary Clinton in mano ai russi. Una vicenda sulla quale l’amministrazione Usa vuole vedere chiaro.

“Qualcuno ha collegato il tweet di Trump contenente apprezzamento nei miei confronti a questa inchiesta – aveva esordito Conte nella conferenza stampa seguita all’audizione – Trump non mi ha mai parlato di questa inchiesta. La richiesta da parte degli Stati Uniti risale a giugno ed è prevenuta da Barr”, aveva spiegato il capo del governo. “Barr ha chiesto di verificare l’operato degli agenti americani e la richiesta è avvenuta sul presupposto di non voler mettere in discussione l’operato delle autorità italiane”, aveva proseguito Conte, che aveva sottolineato: “Io non ho mai parlato con Barr neanche per telefono”, ma “ho acconsentito a questa interlocuzione per chiarire che la nostra intelligence era estranea a questa vicenda”.

Le visite di Barr per conto di Donald Trump – sotto impeachment proprio con l’accusa di aver abusato della sua carica per trarne vantaggi elettorali – non hanno però riguardato solo l’Italia. Quest’estate Barr ha visitato anche Gran Bretagna e Australia. I tre casi hanno tra loro una differenza fondamentale: mentre in Italia c’è stato un grande clamore mediatico, in Gran Bretagna e Australia le polemiche si sono spente subito. Eppure, ricorda il vicepresidente della Commissione Intelligence del Senato Mark Warner alla Reuters, Stati Uniti, Gran Bretagna, Australia, Canada e Nuova Zelanda, formano la Five Eyes Alliance, struttura di scambio di informazioni di intelligence tra i cinque alleati nata dopo la Seconda Guerra mondiale. Due le occasioni in cui gli 007 italiani hanno incontrato quelli statunitensi in riunioni tecniche che il premier non aveva l’obbligo di comunicare a nessuno.