Politica

Regionali, cosa c’entra Cucinelli col Movimento? Il cashmere a 5 stelle è un pessimo segnale

Quando ti manca la voce allora proponi anche agli altri di cantare in playback. E’ un po’ quel che sta accadendo al Movimento 5 stelle in questa fase di indubbia crisi di identità: sono certo che la voce un giorno tornerà, ma il rischio è che in questo tempo di playback il pubblico se ne sia andato perché non ama la paccottiglia, le cose finte.

L’esperimento umbro mi appare come il tentativo di scolorire tutto in attesa di tempi migliori o – peggio – di costruire quella nuova trama di filato gialla e rossa e consegnarla al buon tessitore espressione della società civile. Tanto più se il tessitore è anche un ottimo imprenditore del lusso, qual è appunto Brunello Cucinelli. Cosa c’entri il re del cashmere, persona colta e imprenditore sicuramente eccellente, con un movimento popolare qual è il M5S onestamente mi sfugge: il Pd ha cominciato a rovinarsi proprio quando si è accorto di stare a proprio agio nei salotti radical chic, quelli dove la “erre moscia” fa curriculum; il Pd ha completato la propria metamorfosi quando le periferie erano posti da andare a trovare come una specie di zoo, da scoprire come luogo antropologico e non come pezzo sociale della propria identità politica.

Il Movimento non parla con la erre moscia, non è nato nei salotti; è nato per dare voce e significato agli orfani dei diritti. Quei diritti che la predicazione neoliberista incarnata dal Pd ha sottratto poco alla volta in nome della flessibilità, dell’accoglienza, della ripresa, del sacrificio per il bene delle future generazioni e tutte le altre balle che ci hanno rifilato da tempo. Sono loro che hanno costruito il presupposto della “Vita a Rate” degli italiani.

Se davvero il Movimento ha ancora voglia di vedere se il Pd ha germi di socialismo (anche se vale la pena ricordare che è dalle primarie a favore di Romano Prodi che i banchieri sono allineati al centrosinistra: illo tempore erano Passera e Profumo oggi sono i Davide Serra e tanti altri tecnici di area…), le sfide sono già sul tavolo: lo rimettiamo l’articolo 18 così da seppellire il pessimo Jobs Act? La domenica diamo un po’ di respiro ai lavoratori e se proprio la gente deve lavorare, almeno che ci guadagni molto di più e sia più tutelata? E se il piccolo negozio commerciale deve reggere i centri commerciali, che abbia agevolazioni fiscali importanti?

E ancora. Le false cooperative le rendiamo totalmente fuorilegge, senza alcuna ambiguità? Perseguiamo (ma anche perseguitiamo, in un certo senso) coloro che usano il “senso cooperativistico” per umiliare le persone? Dai centri commerciali agli aeroporti, l’uso delle cooperative di comodo nei servizi sta annichilendo le persone senza che questi padroni paghino mai dazio: dichiariamo guerra a questo sfruttamento! Ma va fatto subito!

E poi, vogliamo togliere quell’arbitraria voce in bolletta che si chiama “oneri di sistema”? Si tratta di una voce “jolly” dentro la quale ci finisce ogni genere di tassa che nulla ha da spartire con il consumo di energia da parte delle famiglie. Infine, visto che ci siamo: facciamo che i piccoli imprenditori e le famiglie non si debbano più ritrovare a pagare ciò che viene scontato agli energivori. Che cacchio di idea green è quella per cui se risparmi energia paghi lo stesso un botto!?! Questa roba sa tanto di gabella feudale.

Ps. Ieri il bravo Stefano Fassina, cioè la persona a cui io avrei affidato il ministero dell’Economia e del Tesoro, ha detto l’unica cosa saggia che dovrebbe essere presa in considerazione parlando di autostrade: la gestione va rinazionalizzata. Caro Fassina, ci sto. Quando vuoi cominciamo.