Politica

Zingaretti, i cinque punti rivisitati per un governo Pd-M5S ‘di sinistra’

Il pentalogo che è venuto fuori dalla riunione di ieri del Partito democratico, oltre a rappresentare un fumoso elenco generico di punti, mi pare segnali la mancanza di presa d’atto che alcune difficoltà, anche al di là della discussione sull’elenco in questione, permangono. A partire proprio da quella sicumera del Pd, partito in tromba dando per scontato che l’accordo si faccia e che si faccia alle condizioni che una forza di minoranza in Parlamento detta. Forse mettendosi, in questo, sulla scia della Lega. Eppure, se il M5S ha imparato qualcosa dal governo cosiddetto gialloverde, si spera sia proprio il non farsi mettere nel sacco da un partito che ha preso la metà dei suoi voti alle Politiche. E mentre la Lega poteva vantare sul piano politico un successo enorme e il raddoppio dei voti alle Europee, il Pd – pur in lieve recupero – non ha neanche questa carta (se è una carta) da giocare.

Dunque mi pare di poter dire che il Movimento dovrebbe far raffreddare gli entusiasmi zingarettiani suggerendo maggiore cautela e ponendo delle condizioni, non facendosele porre. Tanto più che l’opzione voto sarebbe del tutto suicida per tutti tranne che per la Lega, dunque non c’è nessuno che possa usare la minaccia di non arrivare all’accordo, tanto meno il Pd.

Per quel che mi riguarda, io riscriverei il pentalogo, partendo da un primo punto che mi pare peraltro in re ipsa: far fuori politicamente Renzi. L’estromissione dalle trattative, dalla compagine dell’eventuale governo, da ogni ruolo in questo possibile esecutivo di Renzi è un passo necessario. Se ne andrà dal Pd? Se le elezioni sono ancora lontane non potrà spaccare il partito. Si dirà che i parlamentari in carica sono per lo più ‘suoi’? Si cambia. Se Zingaretti riesce a gestire la transizione, i parlamentari eletti diventeranno da renziani tutti zingarettiani. Nessuno si appenderà al rignanese (ok tranne forse la Boschi).

Questo ha a che fare con un punto 2 del nostro pentalogo, infatti la questione renziana è anche sostanziale: uno spostamento vagamente a sinistra (parole grosse) del Pd produrrebbe una maggiore consonanza coi temi sociali e del lavoro dei 5s. Cosa che invece non accadrebbe con Renzi, capace — con Calenda — solo di portare in dono i temi cari alla destra e a un certo salvinismo: sicurezza, immigrazione, centralità dell’impresa.

Legato al secondo punto c’è il punto 3: da un governo così temo non ci potremo aspettare la rimozione del pareggio di bilancio dalla Costituzione; eppure non dico che occorra aderire alla Modern Monetary Theory, ma quanto meno all’elementare principio secondo cui — dal momento che uno Stato non è affatto una famiglia — le politiche non solo si possono ma si devono finanziare in deficit. E invece l’household analogy , ovvero l’idea che le uscite e le entrate di uno Stato debbano essere gestite come il bilancio di una famiglia, viene abbracciata con sicumera ignorante dai liberisti del Pd, tipo Calenda, che la usano apertamente per sostanziare la tesi rigorista dei ‘conti in ordine’. Giusto un paio di giorni fa il New Yorker raccontava di Stephanie Kelton, adviser economica di Bernie Sanders e professoressa di Economics and Public Policy a Stony Brook, che sostiene che la domanda “come lo pagheremo?” non è una domanda politica o almeno non è la domanda centrale della politica economica di un governo. Il punto è piuttosto un’inflazione sostenibile, non l’ossessione del deficit. Chiaro che noi non siamo gli Stati Uniti e l’Italia non stampa moneta, ma il quantitative easing di fatto questo era, pur dando quei soldi al circuito sbagliato.

In ogni caso, andare in Europa significa questo, ovvero il punto 4: ridiscutere l’ossessione del deficit per realizzare il punto 5 del Pd, ovvero aprire una stagione di investimenti. Se esiste un vincolo di bilancio, questo non solo blocca gli investimenti se non ci sono coperture attive, ma retroagisce addirittura sui diritti fondamentali delle prima parte della nostra Costituzione.

Infine, un doppio punto 5: se da un lato Conte non può essere estromesso, dall’altro occorre evitare una logica emergenziale e da conventio ad excludendum, del tipo “stiamo facendo tutto questo per evitare di andare alle elezioni, sennò vince Salvini”. Argomento allucinante, che al limite si può solo pensare ma mai dire.