Media & Regime

Crisi, se si va a elezioni anticipate garantiamo il pluralismo in tv

Ora che il dado sembra tratto e che Matteo Salvini ha staccato la spina al governo, il tema del rispetto del pluralismo in tv diventa, con le elezioni alle porte, quanto mai urgente. E ad accrescere le preoccupazioni non ci sono solo i dati che certificano lo strapotere mediale in video del tronfio ministro dell’Interno, in barba a qualsiasi corretto equilibrio, ma anche il fatto, non certo indifferente, di un’Autorità di garanzia in scadenza, anzi già scaduta e non ancora rinnovata.

Un combinato che potrebbe davvero aprire un vulnus grave per il regolare svolgimento della prossima campagna elettorale. Ma finora pare che a nessuno, di qualsiasi cromatura politica, il problema interessi più di tanto. I dati dei rilevamenti di questo 2019, sia quelli dell’Agcom che quelli dell’Osservatorio di Pavia come di altre agenzie monitoranti, sono inquietanti e ci dicono che la Lega con il suo leader la fa, e oramai da tempo, da padrone sulle televisioni pubbliche e private, nei telegiornali come nei talk.

Più che i minuti o i tempi di parola, pur rilevanti come vedremo, è la ricorrente ossessiva presenza dell’ex consigliere milanese a fare impressione, come evidenziato ad esempio da Eurispes ad aprile di quest’anno. Secondo un suo studio, Salvini ha collezionato da ottobre 2018 a fine marzo 2019 quasi 900 presenze nelle titolazioni delle principali edizioni dei tg delle reti generaliste (Rai, Mediaset e La7), surclassando di parecchio i suoi interlocutori ed avversari. Agcom giusto un mese prima aveva invece certificato il primato assoluto del leader leghista, che nel mese di febbraio aveva ottenuto tempi di parola di gran lunga più elevati degli altri politici (124 minuti per lui, 98 per Di Maio, 50 per Zingaretti) in tutti i tiggì, e non soltanto nel Tg2 “sovranista” dove pure aveva attinto percentuali sconosciute altrove.

Ma il guaio è che nonostante queste acclarate asimmetrie e i warning ripetuti da parte di una Authority, ahinoi, svuotata da reali capacità sanzionatorie, la musica fino ad oggi, tranne che in un brevissimo frangente prima delle europee, non è cambiata. A giugno nei talkshow informativi della Rai, per esempio, la Lega si è presa da sola un quarto del tempo di parola (con la punta del 47% a Rai2 !! ), a fronte dell’8% dei grillini, del 12 di Forza Italia e del 19 del Pd.

A Mediaset, poi, ha occupato i microfoni per il 17% del tempo nei programmi extra tg, il triplo del M5S e molto più di Forza Italia che pure è l’editore di riferimento (ma che però si rifà ampiamente nei telegiornali delle reti). A La7 gli ex bossiani hanno parlato per il 24% nei programmi e per il 12% nel Tg diretto da Enrico Mentana (senza contare una buona fetta di quel 23% dedicato nello stesso alle dichiarazioni dei ministri). La performance della Lega nella tv di Urbano Cairo non è però degna dell’impareggiabile Sky, la più filogovernativa delle reti (tranquilli: succedeva anche con Renzi), che ha regalato a giugno, ma non solo a giugno, ai colori della Lega nel suo tg, Sky24 il 34% del tempo di parola, offrendo poi in ordine il 27 al Pd, il 16 a Forza Italia e un misero 6% ai pentastellati.

Ora se è questo il panorama dell’informazione politica nazionale, dire che c’è di che turbarsi dopo l’apertura di una crisi politica come quella appena inaugurata dall’uomo del Papeete potrebbe non essere sufficiente; vista soprattutto l’assenza di una Autorità nel pieno delle sue funzioni, la domanda che nasce spontanea è su chi vigilerà sulla correttezza e sugli equilibri della rappresentazione delle posizioni nelle prossime cruciali settimane. Forse dalle parti della sinistra e del movimento di Grillo qualcuno dovrebbe cominciare a darsi una mossa. Senza aggiungere, infine, che le preoccupazioni di cui sopra vengono confermate, oltre che dalla esperienza quotidiana, anche dai recenti dati numerici di luglio elaborati dall’Osservatorio di Pavia, soprattutto per quanto riguarda il Tg2, come ci ha ricordato giustamente il commissario della vigilanza Pd Michele Anzaldi. Peccato che lo stesso puntuale scrupolo pluralista il deputato, per il resto molto solerte, non l’abbia esercitato durante gli anni renziani. Ma questo è un altro discorso.