Diritti

Decreto Sicurezza bis, la disumanità è diventata legge

Il secondo decreto sicurezza voluto da Salvini è legge. Un testo vergognoso, che ha come unico obiettivo quello di dimostrare ai 5 Stelle e al mondo quanto il ministro dell’Interno possa tirare la corda, quanto possa farsi beffa degli obblighi internazionali di soccorso in mare, quanto possa irridere il diritto internazionale e la coerenza costituzionale. Fin dalla forma della nuova normativa: la decretazione basata sui requisiti di necessità e urgenza, in materia penale e in tema di immigrazione, quando da anni gli sbarchi sono precipitati nei numeri e quando lo stesso Ministero dell’Interno si vanta del diminuire costante del numero dei reati (iniziato per la verità in ben altre epoche storiche).

Come abbiamo sottolineato in un recente rapporto, nei primi mesi del 2019 i reati sono calati del 15% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Gli omicidi registrano un -12,2%, le rapine un calo di quasi il 21%, i furti del 15,1%, le lesioni dolose del 21,8%, le violenze sessuali arrivano a un -32,1%. In una retorica tanto disgustosa quanto falsa, la criminalità viene accoppiata all’immigrazione, senza dire che il numero delle segnalazioni legate al reato di ingresso e soggiorno illegale in Italia è in netta diminuzione così come quello dei reati evidentemente legati alla condizione di povertà (accattonaggio con impiego di minori, per dirne uno). Immigrazione e criminalità vengono strumentalmente accostate il giorno dopo che negli Stati Uniti a El Paso, nel nome dell’odio propagandato da Trump contro i migranti latino americani, un giovane terrorista suprematista bianco fa una strage di innocenti.

Non vi è necessità e non vi è urgenza, se non si voglia considerare tale il darsi delle Universiadi, manifestazione sportiva di tutto rispetto ma che non si vede cosa debba entrarci con l’inasprimento della legge Reale – che già tanto morbida non era – sulla repressione del dissenso di piazza. Un evidente pretesto, come fu quello delle Olimpiadi invernali del 2006 per la cosiddetta legge Fini-Giovanardi sulle tossicodipendenze, che qualche anno dopo, proprio per questo motivo, la Corte Costituzionale butto giù.

Salvini utilizza il populismo penale – la creazione di nemici inesistenti attraverso un uso distorto e incoerente del diritto penale – per il proprio consenso di massa, e il Movimento 5 Stelle asseconda tali tendenze illiberali. Nel merito delle norme introdotte dal decreto, troviamo sanzioni amministrative abnormi per chi salva persone in mare, troviamo confische di navi delle Ong, aumenti di pena per chi è protagonista di scontri di piazza, aumenti di pena per chi oppone resistenza o commette oltraggio nei confronti delle forze dell’ordine, arresti differiti per tifosi esagitati e tante altre cose simili.

Eppure tanti giovani parlamentari del M5S sono stati protagonisti del movimento anti-globalizzazione di Genova 2001. Ora sembra che le sentenze su Diaz e Bolzaneto, le violenze di polizia, siano degradate a fantasia di un manipolo di esagitati. Come nei regimi illiberali – in Russia o nel Brasile di Bolsonaro – il diritto penale perde la propria forza universale e moderata, e si trasforma in arma a disposizione del potere politico. La disumanità diventa legge, ha detto Don Ciotti. Ma oramai non ci stupisce più nulla. L’Italia si è abituata con una velocità inimmaginabile prima alla cattiveria governativa, alla mancanza di ogni pietà umana, alla politica intesa non come gestione dell’inclusione di tutti nel sistema di convivenza pubblica bensì come l’istigamento di una parte contro un’altra.

Tutto questo, oltre ad avere una ripercussione sempre meno sanabile su conquiste democratiche che hanno impiegato secoli ad affermarsi, potrà sfuggire di mano con grande facilità.
In carcere – dove la selezione sociale manda troppo spesso quella categoria di persone cui il decreto sicurezza vorrebbe parlare – esistono programmi di prevenzione della radicalizzazione violenta. Dopo gli attentati di Parigi, il terrorismo islamico è stato un tema di attenzione costante per l’amministrazione penitenziaria, convinta che l’ambiente carcerario, chiuso e non sempre rispettoso dei diritti di tutti, potesse fungere da coltura per sentimenti anti-occidentali. Ma il razzismo e i sentimenti di odio verso stranieri e rom sono in carcere assai più diffusi delle tendenze religiose estreme. E la stessa cosa, non c’è dubbio, accade nel mondo libero. Quando un ministro – oltre che con i tweet, i post facebook e le consolle – legittima l’odio anche con un decreto, si prepari a che El Paso possa non essere troppo lontano.