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Gioco d’azzardo, Agcom scrive al governo su divieto spot: “Manca coordinamento con leggi precedenti. Non sanzionabili soggetti esteri”

Segnalazione di 31 pagine del'authority: "Criticità ai fini di una effettiva ed efficace azione di vigilanza e di contrasto al fenomeno della ludopatia". La norma risulta non in linea con i principi Ue e la sanzione minima di 50mila euro può risultare "poco ragionevole" se la pubblicità è trasmessa durante "manifestazioni sportive a livello amatoriale o da esercizi commerciali di modeste dimensioni"

Tradurre in pratica il divieto di pubblicità del gioco d’azzardo previsto dal decreto Dignità sarà molto complicato. Perché la nuova normativa non è ben coordinata con le leggi precedenti, gli spot sul web rischiano di sfuggire alle maglie della giurisdizione italiana, all’authority del settore vengono attribuite competenze che non ha e ci sono “criticità ai fini di una effettiva ed efficace azione di vigilanza e di contrasto al fenomeno della ludopatia“. Sono le preoccupazioni espresse dall’Agcom in una lunga segnalazione di 31 pagine inviata oggi al governo per “rappresentare alcune criticità interpretative e le problematiche applicative rilevate con riferimento alla disciplina introdotta dall’articolo 9 del decreto-legge 12 luglio 2018”, in vigore dal 15 luglio di quest’anno dopo che sono scadute le ultime deroghe.

L’autorità, che lo scorso aprile ha emanato le proprie linee guida per l’applicazione, avverte che è necessaria “una complessiva sistematizzazione del quadro normativo di riferimento, frutto di norme susseguitesi e sovrappostesi nel tempo in assenza di reciproca armonizzazione”. Si tratta di “disporre di un quadro normativo certo di riferimento che tuteli tutti gli interessi coinvolti”. L’Agcom parte dalla normativa europea in materia, sottolineando come “risulta quindi confermata, anche nella legislazione più recente, la scelta di non vietare qualsiasi forma di comunicazione commerciale concernente il gioco a pagamento, ma solo quelle che risultino aggressive per i soggetti vulnerabili, e la preferenza per un regime normativo duttile e flessibile – autoregolamentazione e coregolamentazione – che sappia realizzare il più equilibrato contemperamento degli interessi in gioco (libera prestazione di servizi e tutela della libertà di impresa da un lato e tutela del consumatore/giocatore dall’altro)”. Poi ricostruisce gli interventi legislativi precedenti: dal decreto Balduzzi del 2012 (che per esempio all’articolo 7 comma 4 vietava la pubblicità del gioco con vincite in denaro nel corso di trasmissioni rivolte ai minori e quella contenente “incitamento al gioco ovvero esaltazione della sua pratica”) alla legge di stabilità per il 2016 che ha vietato ogni messaggio che “incoraggi il gioco eccessivo o incontrollato”, “neghi che il gioco possa comportare dei rischi”, “ometta di rendere esplicite le modalità e le condizioni per la fruizione di incentivi o bonus”, “presenti o suggerisca che il gioco sia un modo per risolvere problemi finanziari o personali, ovvero che costituisca una fonte di guadagno o di sostentamento alternativa al lavoro”, eccetera.

Il decreto Dignità, prosegue l’authority, “ha posto sin da subito alcune problematiche interpretative, in ragione dell’insufficiente coordinamento con la previgente disciplina nazionale in materia e della distonia rispetto ai principi europei, con particolare riferimento a quello di proporzionalità. Per altro verso l’amplissima estensione del divieto e l’utilizzo di nozioni non conosciute dalla normativa di settore ha reso indispensabile un’attenta ermeneutica dell’articolo 9, alla luce della disciplina generale in materia di pubblicità e comunicazioni commerciali, nonché di quella specifica del settore del gioco a pagamento”. I problemi, nel dettaglio, sono numerosi, a partire dal “coordinamento tra le competenze attribuite all’Agcom dalla presente norma e quelle attribuite all’AAMS dal decreto Balduzzi, sia sotto il profilo delle condotte vietate, sia sotto il profilo delle sanzioni applicabili”: non è chiaro se “si debba ipotizzare un esercizio congiunto delle competenze in materia di pubblicità di questa Autorità e dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli”, nel qual caso “si dovrebbe concludere che, nel settore della pubblicità del gioco a pagamento, le competenze specifiche dell’AGCOM vadano ad aggiungersi a quelle più generiche esercitate dall’AAMS, con tutto quel che ne consegue sotto il profilo di rischio di impugnative per bis in idem“.

Per quanto riguarda le sanzioni, “si ritiene che una sanzione pari comunque nel suo minimo a 50.000 euro, per qualsiasi fattispecie e in relazione a qualsiasi soggetto, possa risultare poco ragionevole e sproporzionata“: una sanzione di simile entità non è prevista “per alcuna altra fattispecie violativa rientrante nel perimetro tipico dell’attività di vigilanza di questa Autorità” e “quanto al rischio di una sproporzione della sanzione pecuniaria rispetto all’effetto lesivo del bene protetto dalla norma si consideri, a titolo meramente esemplificativo, il caso delle pubblicità che dovessero essere trasmesse nel corso di manifestazioni sportive a livello amatoriale o da esercizi commerciali di modeste dimensioni (es. tabaccherie o simili”).

Per quanto riguarda la concreta applicabilità, l’estensione della competenza dell’Autorità ad ambiti (e fattispecie) estranei al perimetro di riferimento delineato dalla legge istitutiva “costituisce un onere particolarmente gravoso anche in termini di impiego di personale che avrebbe necessitato, stante l’attuale sistema di finzanziamento dell’Auotrità, la previsione di un contributo gravante sui soggetti obbligati/vigilati (su questo punto vedi infra)”.

Quanto ai mezzi su cui è vietata la pubblicità del gioco a pagamento, “la norma fa riferimento alle pubblicazioni in genere” ma “si tratta, all’evidenza, di una nozione indefinita; se la norma intende far riferimento alla legge sulla stampa n. 47/1948, allora la nozione è quella di stampa o stampato (non periodico, perché i periodici sono ricompresi nella stampa quotidiana e periodica); in tal caso il responsabile sarebbe lo stampatore o, se esiste, l’editore (art. 2 l. cit.), sempre che ne sia fornita indicazione”. E se la pubblicità compare su un sito, “alla luce della formulazione legislativa e tenuto conto del quadro normativo generale di riferimento, sembrano sfuggire alla portata applicativa della disposizione i casi potenzialmente più gravi (anche con riferimento a quanto può accadere per il tramite delle piattaforme di condivisione). Se il soggetto è stabilito all’estero o si tratta di un operatore di gioco non autorizzato in Italia, all’Autorità è in astratto precluso il potere di irrogare la sanzione pecuniaria, né può assumere alcun rilievo il ruolo dei prestatori intermediari di servizi o l’ubicazione dei server posto che la norma prevede l’applicazione di una sanzione e non la disabilitazione dell’accesso”.

Sullo sfondo la considerazione che “nel processo di consultazione tutti gli operatori hanno sottolineato la contraddittorietà del complessivo quadro legislativo di riferimento in materia il quale, da un lato, considera del tutto legittima l’attività di offerta del gioco a pagamento, sottoponendola a regime concessorio, dall’altro, vieta qualsiasi forma di comunicazione commerciale ad essa relativa: tale situazione di fatto rischia di creare un ostacolo all’esercizio dell’attività di impresa, tutelato dall’articolo 41 Costituzione”. Inoltre “molti operatori (ed editori) hanno evidenziato come la nuova disciplina, scontando i limiti della potestà giurisdizionale italiana e la soggezione al principio del paese di origine di cui alla direttiva SMAV, determini di fatto una disparità di trattamento a danno dei concessionari italiani e il rischio di favorire gli operatori illegali”. L’Agcom stessa ritiene che la norma ponga “una serie di potenziali criticità sotto il profilo dell’impatto concorrenziale. In via generale, è stato rilevato come il divieto di ogni forma di comunicazione promozionale della propria attività precluda di fatto l’accesso al mercato dei cd. new comers che non potrebbero in alcun modo competere con i marchi già noti presso l’utenza. Sempre in quest’ottica, non può non darsi conto dell’impatto economico prodotto sui diversi settori interessati, anche indirettamente, dalla introduzione del divieto il quale rischia di produrre conseguenze non favorevoli in termini di competitività delle aziende italiane”.

In conclusione, “la complessità delle questioni emerse nel processo di consultazione rende auspicabile e urgente un intervento di riforma complessivo dell’intera materia che, proprio alla luce delle evidenze emerse, possa introdurre gli strumenti più idonei ed efficaci per contrastare il fenomeno della ludopatia nel rispetto della iniziativa economica privata in particolare laddove la stessa sia assentita e concessa dallo Stato”.