Cultura

Libri, passa alla Camera il tetto agli sconti. Speriamo sia solo l’inizio

La legge sul libro è appena passata alla Camera. Sì al 5% di sconto massimo sui libri. Grandi festeggiamenti per piccoli librai e piccoli editori. Forza Italia, partito che in Parlamento rappresenta il duo Mondadori-Rizzoli, si è astenuto.

Questa è una buona legge, è un buon punto di partenza, ma non basta. Non basta perché in Italia ci concentriamo solo ed esclusivamente sui lettori già esistenti, su quello zoccolo duro di consumatori che gli editori inseguono e cercano di ammaliare. In Italia non ci concentriamo sul formare nuovi lettori, il vero nucleo centrale di una rivoluzione della filiera dell’editoria. Non basterà questo 5% per fermare Amazon, la gente compra online per la velocità di consegna, perché ha poco tempo per andare in libreria e per tanti altri motivi.

Ci soffermiamo sugli sconti, cosa buona e giusta, ma non sui dati che vedono i paesi scandinavi, il Regno Unito, la Polonia, l’Estonia, stati con il doppio dei nostri lettori. Eppure in Gran Bretagna non c’è nessuna legge che limita gli sconti, quasi a voler sottolineare che non c’è una forte relazione tra l’acquisto e lo sconto. Quei lettori, ormai definiti “forti consumatori”, da decine di libri all’anno letti, difficilmente comprano dai piccoli editori: sono i cosiddetti lettori “orientabili” dalle mode, dai libri del momento.

In Italia mancano le infrastrutture della filiera editoriale. Ci sono più di 3mila Comuni senza librerie, senza possibilità di acquisto diretto, ci sono migliaia di Comuni senza una biblioteca pubblica, migliaia di scuole senza una biblioteca scolastica. Dove vogliamo formare i nuovi lettori se non nei posti deputati a tale formazione? Le biblioteche stanno diventando “teche”, lo scenario nella città di Napoli, dove vivo, è deprimente. Mancano manager culturali capaci di animare questi luoghi, i dipendenti comunali non sono adatti al nuovo ruolo delle biblioteche, dove il prestito diventa qualcosa di collaterale.

Quante librerie chiudono ogni anno? Quante librerie di quartiere sono rimaste? Quante librerie hanno realmente un’identità, un rapporto col territorio, con le scuole, col pubblico e quante invece giocano a imitare, in modo fallimentare, i grandi marchi? In Italia manca una comunità educante del libro, una rete di scuole, editori, scrittori, università e biblioteche capaci di fare sistema, costantemente, quotidianamente. Manca un progetto di promozione del libro serio, duraturo, a lungo termine.

Ma chi deve farsi carico della costruzione di tale rete? Il pubblico, il privato? Con quali fondi? Basteranno i pochi milioni di euro stanziati dalla nuova legge? Gli editori devono entrare nelle scuole tutti i giorni, così come gli scrittori, lo Stato deve garantire sconti particolari a chi frequenta le scuole: è soltanto investendo nelle future generazioni, oggi assuefatte dalla velocità del web, che cambieremo marcia. Nel frattempo soffriremo di cannibalismo, ci ruberemo a vicenda quei pochi lettori over 50 che sono rimasti. La vera novità, la vera linfa che sta provando a smuovere le acque fangose di questo sistema giurassico sono le librerie per bambini, le uniche che attualmente stanno avviando un percorso di “crescita” dei propri lettori, le uniche che seguono i propri lettori, formano i più piccoli e animano i loro genitori.

La maggior parte degli editori incontra poco i lettori e le librerie che promuovono i loro libri. Tutto ciò perché il monopolio, ormai imperante e a tratti imbarazzante, della distribuzione italiana, crea distanza tra le parti. Troppi numeri e poca umanità. Poche strette di mano, pochi occhi che si incrociano. L’editore non può più essere un’entità chiusa nel proprio ufficio a produrre file da dare in pasto al mercato. Gli editori devono fare squadra e non dividersi, assumendo toni rasenti il ridicolo, come è accaduto per il Salone del Libro di Torino e come Adei e Aie stanno facendo in merito alla nuova legge sugli sconti dei libri.

Dunque esultiamo per questa nuova legge, che speriamo trovi concretezza in Senato, ma che sia la nostra start up, perché credetemi cambierà ben poco se non saremo capaci di fare squadra nel futuro prossimo.