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‘Ndrangheta, ergastolo per il boss di Cutro Nicolino Grande Aracri: la sua influenza arrivata fino all’Emilia-Romagna

Gli ermellini hanno condannato all’ergastolo il boss di Cutro accusato dell’omicidio del boss Antonio Dragone. Stessa pena è stata inflitta a suo fratello, Ernesto Grande Aracri, mentre è stato condannato a 30 anni di carcere il capo società di San Mauro Marchesato, Angelo Greco, uno degli esecutori materiali del delitto Dragone

Carcere a vita. La Cassazione mette il sigillo al processo “Kyterion”, inchiesta parallela dell’operazione “Aemilia” che ha svelato gli interessi della cosche crotonesi in Emilia-Romagna. È stata confermata, infatti, la sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro. Da ieri sera, quindi, nella scheda personale del detenuto Nicolino Grande Aracri c’è scritto “fine pena mai”. Gli ermellini hanno condannato all’ergastolo il boss di Cutro accusato dell’omicidio del boss Antonio Dragone. Stessa pena è stata inflitta a suo fratello, Ernesto Grande Aracri, mentre è stato condannato a 30 anni di carcere il capo società di San Mauro Marchesato, Angelo Greco, uno degli esecutori materiali del delitto Dragone. Oltre che per questo omicidio, don Nicolino è stato giudicato colpevole di associazione mafiosa ed estorsione. Secondo la Dda, guidata dal procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, il boss di Cutro era capo di una “provincia” di ‘ndrangheta che non si limitava al solo territorio crotonese. Piuttosto la sua cosca aveva influenza anche nella Sibaritide, nella zona di Catanzaro e del vibonese. Tentacoli mafiosi lunghi fino in Emilia Romagna dove i Grandi Aracri rivendicavano autonomia pure rispetto alle cosche reggine. 

Stando alle indagini, gli imputati volevano accaparrarsi i lavori sulla statale 106 e sui parchi eolici, ma anche la gestione di villaggi turistici come quello di “Capopiccolo” a Isola Capo Rizzuto. Ma non solo. Stando all’impianto accusatorio del procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla e del sostituto della Dda Domenico Guarascio, don Nicolino Grande Aracri poteva vantare entrature nei palazzi che contano: dalla massoneria al Vaticano passando per la Corte di Cassazione. Se da una parte è vero che non è stato accertato il coinvolgimento di un magistrato, dalle carte dell’inchiesta però è emerso che la cosca di Cutro ha cercato di aggiustare un processo a Roma per far annullare la decisione del Tribunale del Riesame di Catanzaro che aveva confermato l’arresto per Giovanni Abramo, cognato del boss. Nel gennaio 2015, quando scattò il blitz, finì in manette pure un ex maresciallo dei carabinieri poi diventato avvocato, Benedetto Stranieri. Anche per lui ieri è arrivata la condanna definitiva a 4 anni di carcere per concorso esterno con la ‘ndrangheta. In sostanza, Stranieri avrebbe avvicinato “soggetti gravitanti in ambienti giudiziari della Corte di Cassazione, anche remunerandoli, al fine di ottenere decisioni giudiziarie favorevoli ad Abramo Giovanni”. 

Le risultanze investigative del processo “Kyterion”, tra l’altro, sono state confermate dalla recente inchiesta “Malapianta” che pochi giorni fa ha portato a una trentina di arresti. Nelle carte dell’indagine, infatti, sono finiti i verbali di Giuseppe Liperoti, sposato con una nipote del boss e oggi diventato collaboratore di giustizia: “Fra il 2011 ed il 2012, – ha riferito ai pm – viene costituita la cosiddetta “Provincia”, in quanto Cutro, e quindi Nicolino Grande Aracri, viene riconosciuto capo di tutta la Calabria mediana e settentrionale. Questo riconoscimento gli venne tributato in quanto aveva il gruppo di fuoco più forte e perché eravamo la famiglia più forte economicamente”. Non è un caso che, nelle perquisizioni del 2015, i carabinieri avevano trovato un conto corrente con la disponibilità di 200 milioni di euro. Era la cassaforte del boss dove la Dda ha trovato una “fideiussione finalizzata (almeno in un caso) all’aggiudicazione di un appalto milionario, per la costruzione di appartamenti in Algeria”.