Scuola

La prof di Palermo ha rispettato il programma. Lo so perché sono stato sospeso anch’io

di Davide Trotta

Chi scrive è un docente di lettere dell’Istituto Sommeiller di Torino che, per non essersi prestato a una delegittimante quanto umiliante interrogazione su Boccaccio da parte del dirigente scolastico, per giunta dinanzi alla classe, è stato ripagato con quattro contestazioni d’addebito nello spazio di 12 giorni con motivi bizzarri come l’aver fornito risposte non soddisfacenti all’interrogazione del DS, la mancata annotazione sul registro elettronico degli argomenti svolti a lezione in alcune giornate, la mancata apposizione delle date da parte di alcuni studenti sui propri elaborati scritti. Insomma mancanze così gravi da giustificare la sospensione di due giorni dal servizio.

Il clamore mediatico sollevato dalle recenti vicende che hanno coinvolto la scuola italiana, dalla sospensione di quindici giorni della docente palermitana alla meno nota sospensione di due giorni del sottoscritto, è in realtà eco di un dibattito datato.

Don Sturzo, il 17 giugno del 1952, nel suo ricordo di Maria Montessori, scriveva: “[…] manca la libertà, si vuole l’uniformità; quella imposta dai burocrati e sanzionata dai politici […] Forse c’è di più: una diffidenza verso lo spirito di libertà e di autonomia della persona umana”. Queste parole evidenziano un problema rimasto vivo nel tempo, cioè il tentativo di creare nella scuola una sorta di omologazione anche caratteriale, su cui modellare la figura dell’insegnante. Per contro l’espressione “persona umana” veicola anzitutto la necessità di una libertà a livello di espressione caratteriale e promuove l’ideale di insegnante non codificato secondo convenzioni comuni, ma libero nei suoi comportamenti e atteggiamenti, purché non lesivi di norme e leggi.

Ma i limiti libertari della scuola italiana erano già stati sottolineati da Gramsci che ne Il grido del Popolo, n. 738 del 14/9/1918 affermava “la libertà nella scuola è possibile solo se la scuola è indipendente dal controllo dello Stato”. Non diverso da allora è il tentativo di portare la scuola a soggiacere alla politica, con cui lo Stato finisce per identificarsi. La vicenda della docente palermitana, colpevole di non aver impedito a degli studenti confronti tra il “Decreto sicurezza” e le “Leggi razziali”, conferma appunto l’interferenza della politica nella vita di un’insegnante mutilata della libertà, violentata in una sfera che nessuno Stato, che si professi garante delle libertà e delle iniziative individuali, avrebbe dovuto invadere.

Ingiustamente, a mio avviso, si sono di recente agitati i fantasmi di un ritorno al fascismo – per cui il nostro Paese ha anticorpi sufficientemente forti – per casi di razzismo, certo da condannare ma fortunatamente scimmiottature di un passato ridotto a barbare ed isolate iniziative individuali. Se consideriamo invece il caso suddetto, ufficialmente sigillato da timbro di Stato, un più tiepido ricordo del passato potrebbe sfiorare le nostre memorie: e chissà l’entusiasmo con cui si entrerà in classe a spiegare la lezione al pensiero di avere alle spalle un cecchino pronto a colpire i pericolosi tentativi di infondere uno spirito critico negli studenti. Allora si può capire come mai un insegnante potrebbe sentire la necessità di rifugiarsi verso forme convenzionali, appiattendo lezioni e persino comportamenti alle linee ministeriali vigenti, così da evitare qualsiasi ripercussione in caso di troppa originalità.

Le linee ministeriali odierne prevedono tra le altre cose la cosiddetta “didattica per competenze” che assicura il successo formativo degli studenti, muovendo giustamente i docenti a portare la matematica, la letteratura, la storia sul campo della “vita di tutti i giorni”, affinché quanto spiegato non rimanga fine a se stesso, e la professoressa Dell’Aria lo ha fatto. Possiamo dire che lei hai rispettato il “programma”. A questo punto la categoria insegnanti non sa più che pesci prendere: la docente palermitana viene sospesa per aver osato un paragone blasfemo tra passato e presente; io al contrario vengo punito dal preside perché a suo dire non avrei fatto quell’operazione con Boccaccio (almeno per quei pochi minuti di lezione uditi da autorevoli orecchie), come se la puntualità di un confronto o di un riferimento fosse telecomandata a distanza da un supervisore onnisciente.

Una delle professioni più difficili al mondo è ormai oggetto di pressioni che spesso non hanno nulla che vedere con la preparazione degli studenti e col vivere con loro un percorso comune di crescita. Insomma l’unica certezza è che “dirigente che vai competenze che (non) ti ritrovi”.