Musica

Il grunge nasce con la Sub Pop a Seattle. E da allora è storia (vero, Kurt?)

Come ha fatto la Sub Pop, la casa discografica che in pratica plasmò il grunge, non solo a sopravvivergli, ma anche a trovare il modo di diventare una label di culto, capace di scovare musica che piaccia ai millennial e ad agganciare i nuovi trend? Per avere una risposta a queste domande Valeria Sgarella è volata direttamente a Seattle per porle direttamente a chi la storia di questa etichetta che ha fatto la fortuna di molte band l’ha vissuta in prima persona, come i fondatori Bruce Pavitt e Jonathan Poneman; la ex centralinista ora amministratore delegato, Megan Jasper, che si fece beffe della stampa internazionale inventandosi di sana pianta il dizionario grunge, e molti altri.

Nel 2017, dopo un viaggio a Seattle alla ricerca di testimonianze che poi le sono state offerte da alcuni dei protagonisti de l’âge d’or di Seattle, Valeria ha pubblicato il suo primo libro: Andy Wood, l’inventore del grunge, biografia di Andy Wood, antesignano della scena grunge frontman dei Mother Love Bone da cui originarono i Pearl Jam. In Oltre i Nirvana – Sub Pop: storia di una casa discografica dal 1988 sull’orlo della bancarotta, invece, partendo dalla Sub Pop ricostruisce la storia del grunge e di come questa piccola etichetta sia riuscita a imporsi nel mondo, in ambito musicale e non solo. Perché il grunge, è vero, è una etichetta che è stata appiccicata sulla musica di band diverse tra loro sia per la connotazione geografica che stilistica, accomunando a esso gruppi sorti in altri contesti. Ma sarebbe più corretto dire che erano grunge le band Sub Pop con un sound alla Jack Endino.

E quasi come fosse un puzzle, alla fine, quando tutte le tessere sono al loro posto, ci si rende conto che furono diversi i fattori che contribuirono a far in modo che un nuovo fenomeno musicale, all’alba dei Novanta, potesse prender vita proprio a Seattle, nonostante all’epoca fosse “una città troppo lontana, troppo scomoda, troppo piovosa”, e musicalmente parlando, un “buco nero nei calendari dei tour manager” dei gruppi che negli anni 80 andavano per la maggiore.

Il fatto che nessuno portasse la musica a Seattle implicò che questa città la musica se la dovesse fare da sé: “È opinione diffusa – spiega Valeria Sgarella – che il grunge potesse nascere solo a Seattle, e io sono d’accordo: in una città così piccola e isolata, perché questo era prima della grande esplosione, le band facevano parte quasi tutte dello stesso ‘giro’; suonavano negli stessi locali e incidevano con lo stesso ingegnere del suono. A un certo punto, la Sub Pop intercetta, sintetizza e riesce a esportare questo sound in Europa, peraltro con una formula comunicativa eccezionale. Lo fa in primis con i Nirvana, i Mudhoney e i Tad, e poi da lì a breve l’industria discografica intercetta Seattle e tutte le altre band, anche non Sub Pop, prime tra tutte gli Alice in Chains e Pearl Jam. In pratica, la Sub Pop ha sdoganato il termine, poi il resto è venuto da sé”.

Il libro, ricco di curiosità e aneddoti, è impreziosito dalle interviste ai fondatori della Sub Pop, Jonathan Poneman e Bruce Pavitt: “Poneman – dice Valeria – mi ha ricevuto nel suo ‘ufficio’, c’erano solo un telefono per terra e un paio di poster, nella sede Sub Pop. Invece, per intervistare Bruce Pavitt sono andata sull’isola di Orcas, 45 minuti di volo in idrovolante da Seattle, dove vive da più di 20 anni. Poneman tra i due è senz’altro quello con un’idea di impresa più sviluppata, oltre a essere un ragazzo con la passione per la scena indipendente e promoter locale. Oggi è un signore molto dolce e intelligente, capace di fare ironia su qualsiasi cosa, compresa la sua condizione di salute (soffre del morbo di Parkinson). Bruce Pavitt, che era il ragazzo visionario e creativo, discepolo del Diy, che frequentava l’Evergreen State College di Olympia e amava confrontarsi con l’intellighenzia di quell’ambiente – uno su tutti Calvin Johnson, fondatore della K Records – quando la Sub Pop è entrata a far parte della Warner non ha voluto continuare. Entrando nella sede ho pensato che somigliasse a molti dei posti in cui ho lavorato, con la differenza che, camminando nei corridoi, ogni cosa appesa ai muri era un colpo al cuore”.

Il titolo Oltre i Nirvana non poteva essere più azzeccato per un libro sulla Sub Pop, anche perché l’exploit lo ottiene grazie a un disco come Nevermind. E, a proposito di Nirvana, nel suo libro Valeria descrive bene quale fosse “il dietro le quinte” e lo stato d’animo di Kurt Cobain, “un uomo divorato dalle mille contraddizioni che popolavano il suo cervello, un ragazzo molto perspicace che sapeva esattamente quali mosse era necessario fare per essere sdoganato tra il grande pubblico. Ma contemporaneamente non voleva tradire quella matrice punk con cui era nato e per cui si sentiva amato. Aveva molto a cuore il giudizio degli altri e lo pativa”. La storia parte dal grunge, ma è maledettamente figlia di quel tempo.