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Week end: Bruxelles, e un po’ di Fiandre, con la scusa di Bruegel

Il geniale pittore, e incisore, che nel Rinascimento stupì i contemporanei cominciando a dipingere scene di vita comune. Contadini, venditori, cacciatori, invece di teste di notabili, immagini religiose o mitologiche. Oltre a dar sfogo a visioni fantastiche. E’ morto 450 anni fa, lasciando un segno indelebile. E la capitale del Belgio, dove visse per tanto tempo, lo celebra con una serie di spettacolari iniziative.

Prendi un Van Gogh, che so I girasoli, la Casa gialla, il Vecchio che soffre  e li leggi in un momento. Opere straordinarie ma, per così dire, “facili”. Ci vedi subito l’anima dell’autore, poi bucano anche la tua di anima. Basta un momento perché ti colpiscano e te le porti dentro per sempre. Anche un Pollock, coi suoi grovigli affascinanti, giusto per spaziare nelle epoche dell’uomo. Ti emoziona e non sai perché. Ed è un attimo. Un Caravaggio, e ti colpiscono la cura dei particolari, il verismo delle scene. “Facile”, sembrerebbe, anche questo, perché in fondo è quel che ti appare. Prendi un quadro di Bruegel e un solo momento non ti basta. Devi leggerlo, rileggerlo, frugare nei particolari. Guardare le figure, gli attrezzi in mano alle figure, gli abiti degli uomini, le facce contorte dei contadini, dei commercianti, delle massaie, dei cacciatori, le case, scene di feste, di danze, il paesaggio che si intravede. Tutto questo riprodotto a volte con tratti semplici e pennellate ingenue, vorrei osare quasi da impressionista.  Ma gli impressionisti arriveranno molto dopo. A volte, invece, con una tecnica complicata e raffinata. Non una semplice e perfetta riproduzione della realtà ma sempre un’intensa, e anche allegra o drammatica, interpretazione della vita quotidiana attraverso i protagonisti del quotidiano. Spesso distorti nei tratti e nei colori. Comunque un’illustrazione realistica. Per esempio prendi “Paesaggio invernale con pattinatori e trappola per uccelli”. Che sarebbe un semplice paesaggio invernale con pattinatori e trappola per uccelli, appunto, allegro, semplice, quasi una tavola di un fumettista d’avanguardia, se qualche critico non avesse cominciato a dare significati nascosti alla trappola per uccelli, alle smorfie di certi visi, ecc… Succede che i critici complichino la vita a noi ingenui osservatori. Prendi “Cacciatori nella neve” dove scopri che già allora in qualche modo si pattinava e si giocava a qualcosa che assomigliava al curling. Poi vedi donne che cucinano, e mendicanti, soldati, commercianti che commerciano, bambini che giocano. E hai davanti un piccolo spaccato di quella semplice società che gli altri pittori dell’epoca trascuravano impegnati a ritrarre re, duchi, castelli, condottieri, palazzi, figure mitologiche e religiose. Forse voleva dire solo questo. In altri, i quadri dove scatena la sua fantasia rifacendosi un po’ alle pazzie pittoriche di Hieronymus Bosch, suo conterraneo che lo aveva preceduto, si esibisce in complicate allegorie. Per esempio la “Caduta degli angeli ribelli”. Una scena dell’Apocalisse con “interpretazioni” bizzarre delle figure degli angeli.

Era nato  a Breda si ritiene tra il 1525 e il 1530 ed era morto a Bruxelles il 5 settembre 1569. Nella città fiamminga, capitale del Belgio, aveva vissuto molti anni  nel pieno della celebrità. Così il 450esimo dalla scomparsa Bruxelles dedica all’artista un anno di celebrazioni. Eventi interessanti, persino straordinari, per chi lo conosce già, un’occasione per scoprire la sua arte innovativa. Era stato il primo, Pieter Bruegel il Vecchio (per distinguerlo dal figlio Pieter Bruegel il Giovane che aveva seguito le orme del padre e anche dal secondogenito Jan Bruegel il Vecchio, e pure dal nipote Jan Bruegel il Giovane: insomma una dinastia) a rischiare la miseria, anche se era rampollo di una famiglia agiata, riprendendo scene che nessuno gli aveva commissionato e che nessuno gli avrebbe mai pagato. Per fortuna aveva anche un lavoro di incisore, cosa che faceva con grande abilità. Molte in mostra dal 15 ottobre al 16 febbraio 2020 presso la Biblioteca Reale del Belgio. E poi di quadri non ne fece poi molti di quel tipo visto che a noi ne sono arrivati solo 44. Solo otto sono in Belgio, dodici a Vienna, gli altri sparsi ovunque. Due sono anche a Roma alla galleria Doria Pamphilj, un altro nel museo di Capodimonte a Napoli. Preziosissimi, delicatissimi, impegnativi da gestire e manovrare. Tanto che dovendo decidere che fare, a Bruxelles si è optato di non rischiare “noleggio”, trasporto ed esibizione ma di farsi aiutare dalle tecniche moderne di dialogo con il pubblico. Con risultati spettacolari.

Cioè le opere sono state digitalizzate in altissima risoluzione così da poter essere gestite in vari modi. Il modo più spettacolare è proiettarle sulle pareti e perfino sul pavimento di grandi sale nei musei fino a fare diventare i protagonisti dei quadri quasi a grandezza naturale. In alcuni casi animando i personaggi con la tecnica dei cartoni animati. E non si gridi alla dissacrazione. Così la piccola vita contadina del Cinquecento è ancora più reale. Insomma si è proprio “dentro” il quadro. Perfino di poter passeggiare tra i personaggi. Potenza dei sistemi moderni. L’alternativa sarebbe stata raccogliere i dipinti sparsi nel mondo, appenderli alle pareti con il pubblico assiepato intorno ai singoli quadri, a sgomitare. Le opere di Bruegel non hanno grandi dimensioni e per cercare tutti gli affascinanti particolari che sono la loro caratteristica, cercare di capire cosa volesse dire disegnando  facce strane e mostriciattoli vari, bisogna ficcarci dentro il naso. Certo stare a tu per tu con un’opera originale, sapere che sei a pochi centimetri dalla tela che il maestro aveva maneggiato, scatena altre emozioni. Le proiezioni spettacolari sono nei saloni del Palais de la Dynastie, proprio nel centro di Bruxelles (dall’aprile 2019 fino al 31 gennaio 2020). E ti ritrovi in pieno 500’, nel paesaggio invernale, insieme ai cacciatori nella neve, davanti alla torre di Babele del suo celebre dipinto, a giocare con i bambini del villaggio. O ti ritrovi tra i pattinatori sui canali ghiacciati e i giocatori di curling. Esperienza interessante.

Altra tappa, il Bozar. Si chiama così il centro culturale per eccellenza di Bruxelles, in un bellissimo palazzo, esempio architettonico degli Anni ’30. Qui è allestita una mostra dedicata alle stampe (27 febbraio-23 giugno 2019), perché Bruegel era un maestro in quest’arte. Per continuare ai Musei Reali delle Belle Arti del Belgio. Qui le opere di Bruegel, quelle poche che sono rimaste in Belgio, sono esposte permanentemente. Così ci si affolla, testa contro testa, per esaminare la complicata genialità della “Caduta degli angeli ribelli”, e chiedersi, per esempio, dove mai avrà visto Bruegel il pesce palla che si vede in alto sulla destra. O cercare di capire il significato della “Caduta di Icaro” con l’emozione di trovarsi davanti all’originale. Due modi diversi di godersi il magnifico mondo del genio fiammingo. Divertente, affascinante, quasi sconcertante, perfino didattico il Bruegel proiettato. Emozionante il Bruegel “dal vero”.

Divertente anche, poi, fuori dai musei, il Bruegel sparso per Bruxelles, i segni di riconoscenza della città verso l’illustre ospite. Nel centro monumentale di Bruxelles il “Bruegel Walk”, l’itinerario bruegeliano messo a punto da Visit Flanders l’iperefficiente ufficio turistico fiammingo (www.visitflanders.com) tocca i luoghi simbolo della vita del pittore. Partendo dalla statua davanti a Notre Dame de La Chappelle dove un Pieter in bronzo a grandezza naturale è intento a dipingere con una scimmia, che ha in testa un imbuto, sulla spalla, mentre un corvo lo osserva appollaiato sulla parte superiore del quadro. Nella cattedrale artisti contemporanei hanno trasformato in piccole sculture colorate alcune immagini simbolo tratte dai quadri e le hanno disseminate nella chiesa. Sono dieci, nascoste qua e là, bisogna trovarle. Una specie di corvo è appollaiato su un pulpito, l’omino giallo che fa pipì sulla luna (uno dei dodici proverbi fiamminghi illustrati dal maestro), è appena entrati a destra, una specie di ranocchio arancione con un cappello grigio e una spada in mano è arrampicato su una colonna e c’è anche il celebre pesce palla. Ggli altri bisogna cercarli.

Poco lontano il 132 di rue Haute, dove abitava dopo essersi trasferito, ormai famoso, da Anversa a Bruxelles. Poco lontano, c’è anche la Fountain The ape, ancora un’immagine tratta da un quadro diventata scultura. Uno scimmiotto incatenato su una colonna. Più avanti in rue des Renard la Babbelessen, un’altra delle tante allegre fontane sormontate da sculture in bronzo inspirate a personaggi bruegeliani. E appena più avanti un’altra mostra, “Back to the Bruegel” installata nella Halle Gate, una torre di guardia del 14° secolo porta d’ingresso della città restaurata con cura adesso “dependance” del Museo Reale dell’Arte e della Storia. Anche qui strumenti moderni. Proiezioni e perfino visori individuali distribuiti ai visitatori. Si sale per una stretta scala a chiocciola in pietra, per percorrere un ballatoio esterno sul panorama della città. Che là sotto e che si dovrà perlustare anche oltre Bruegel. La mitica Grand Place, il famoso Mannekin pis, una statuetta alta solo mezzo metro del ragazzetto che fa pipì simbolo dell’indipendenza di spiriti della città, il museo dei merletti, altra specialità fiamminga, i palazzi del Novecento. Basta procurarsi una guida.

Fuori Bruxelles, le Fiandre, cioè quella parte del Belgio dove la lingua non è il francese ma un idioma più vicino all’olandese, sono una distesa verde e piccoli villaggi dalle case di mattoni rossi. Dove Bruegel fotografava la vita fuori dai palazzi. L’itinerario bruegeliano continua al castello di Gaasbeek con una mostra “Feast of Fools” (7 aprile-28 luglio 2019) allestita nelle sale del maniero di campagna. Stavolta non Bruegel ma le opere di una serie di artisti contemporanei che cercano di interpretare la sua eredità.

Infine si va alla ricerca dei luoghi reali dove il maestro cercava ispirazione. Che cosa è rimasto? “Bruegel’s eye. Reconstructing the Landascape” è un percorso nella campagna di Dilbeek a mezz’ora da Bruxelles. A parte i paesaggi bucolici i segni del passato ci sono ancora. Il Mulino del Trecento di Santa Gertrude-Pede, il birrificio  Goossens, la chiesetta di Sant’Anna Pede, del Trecento immortalata nel quadro la “Parabola dei ciechi” al centro di un piccolo villaggio. Il percorso parte da qui. Si va a piedi, nella campagna silenziosa, passando da un’istallazione di artisti moderni e l’altra. Difficile rivedere nelle Fiandre di oggi i quadri del maestro, ma basta chiudere gli occhi.

Info:  www.visitflanders.com, che ha un ufficio anche in Italia può fornire informazioni e qualsiasi altro supporto per un viaggio nelle Fiandre.