Capitoli

  1. Grande Torino, 70 anni dopo Superga – Il mister, il partigiano, il pilota: le storie nella storia
  2. Il Toro non c'è più
  3. Il partigiano in cella
  4. Non colpevole
Calcio

Il partigiano in cella - 3/4

Il 4 maggio 1949 moriva il Torino. Morivano i campioni e gli allenatori che l'avevano reso Grande, i dirigenti che l'avevano fatto crescere e chi, raccontandone le gesta, ne aveva costruito il mito. Con loro se ne andava però anche la gente comune, quelli che con le leggende c'entrano poco e per cui quel volo era soltanto un lavoro. La tragedia di Superga ci parla di uomini. E di un destino da provare a raccontare attraverso le storie delle persone

“È morto il Torino”. I giornali lo strillano, quasi a volersene liberare. E la notizia viaggia, di bocca in bocca, di radio in radio. Arriva persino nelle carceri. Anche a Genova, tra le sbarre del Marassi. Ad accoglierla sono le orecchie di un secondino, che quasi corre con il cuore spezzato. “È morto il Torino”, grida anche lui. E da una cella Guido Tieghi sussulta. Lui, che con quei ragazzi ci ha giocato appena due stagioni prima. E che ora li piange, dal letto di una prigione.

Negli anni 40 Tieghi è una promessa del calcio italiano. Centravanti scaltro e roccioso, esordisce nella Pro Vercelli prima di passare al Toro nella stagione 1946/47. Con i granata gioca appena tre partite. Giusto il tempo di segnare due gol, vincere il campionato e ricevere una pacca sulla spalla da Guglielmo Gabetto, che lo indica come sue erede. L’anno dopo va a Livorno, quello dopo ancora si trasferisce a Novara e torna a vivere nella sua Vercelli, dove il 23 dicembre 1948 viene arrestato. L’accusa è grave e infamante: quadruplo omicidio. Il fatto risale alla notte tra il 6 e il 7 maggio 1945, quando a Borgo Isola un gruppo di dodici ex partigiani irrompe nella casa di Luigi Bonzanino, ex fattorino della federazione fascista, uccidendo l’uomo, le sue due figlie Elsa e Laura e l’anziana Luigia Meroni. Teghi, che della Resistenza è stato un ufficiale, si dichiara innocente, ma falsi indizi e indagini superficiali lo inguaiano: per gli inquirenti tra gli assassini figura anche lui.

La sua carriera è spezzata, quel futuro che lo dipingeva in nazionale ormai non c’è più. E al buio si aggiunge altro buio. La notizia di Superga lo sconvolge, pensa al dolore del presidente Novo, ricorda i viaggi in aereo e le risate per le orecchie di Loik che cambiavano colore a ogni vuoto d’aria. Ma soprattutto pensa che non potrà essere a Torino per l’ultimo saluto ai compagni. E per un attimo si chiede se abbia ancora senso combattere. Piange Tieghi. E se lo domanda ancora quando sul suo letto, pochi giorni dopo, viene appoggiata una cartolina. Arriva da Lisbona, la grafia è di Eusebio Castigliano, ma le firme sono un po’ di tutti: MazzolaOssola, Bacigalupo… i campioni del Grande Torino non si sono dimenticati di lui. E alle lacrime cede allora un sorriso: ha ancora senso lottare. Per i compagni, per gli amici, per la libertà. L’8 aprile 1950, Guido Tieghi lascia la sua cella, assolto per non aver commesso il fatto.