Cinema

Avengers: Endgame funziona un sacco: lo abbiamo visto in una sala strapiena ed ecco come è andata – Attenzione spoiler

E' uscito nei cinema il 24 aprile e solo in Italia ha già raccolto 5milioni 161mila euro per oltre 640mila spettatori

Un tranquillo pomeriggio al cinema. Stracolmo. Avengers: Endgame e una sala cinematografica da settecento posti piena fino all’ultima poltroncina. Tutti prenotati con anticipo. Altro che fila spontanea e inattesa per Star Wars come nel 1977. In una classica multisala di prima periferia al primo spettacolo del 24 aprile 2019 c’è perfino il rischio di non trovare posto nell’ “ampio parcheggio”. Solo in Italia il film ha raccolto 5milioni 161mila euro per oltre 640mila spettatori. Cronaca pretestuale: biglietto prenotato con 72 ore di anticipo e quindi scelta tra sette otto posti tre le prime file. Postazione F-35. Colpito e affondato. Estremo laterale sinistro. Torcicollo post visione. Eppure quando entro durante l’interminabile trafila di trailer che posticipa l’inizio del film dei soliti 25 minuti, sono praticamente l’ultimo a sedermi. La mia vicina dodicenne/tredicenne, a cui non oso chiedere quando è riuscita a vedere tutti i film Marvel – prima, seconda, e terza fase -, e soprattutto se ha capito tutti gli infiniti snodi/sbrodoli di scrittura, è pronta come in rampa di lancio. Vasca di pop-corn, bottiglione di acqua minerale da annegarci, smartphone gigantesco infilato nello spazio bracciolo. La massa di spettatori è comunque imponente. Al primo titolo d’apertura parte un “ssssss” feroce come ai concerti di Keith Jarrett.

L’introduzione con Hawkeye (Jeremy Renner) che improvvisamente si ritrova senza familiari attorno è seguita in silenzio mistico. Il successivo ritrovo crepuscolare datato 2019 degli Avengers ad osservare le macerie del pianeta non fa rilevare alcuno spiffero di reazione. Solo quando il manipolo con procione raggiunge il placido Thanos (Josh Brolin) agricoltore, buen ritiro tra carciofi e datteri, e Thor (Chris Hemsworth) lo decapita quasi accidentalmente il boato di approvazione sa di arena dell’antica Roma. Gli Avengers sono una grande famiglia, sempre più larga, una famiglia Bradford. E il suo pubblico ne fa parte. Aggiungi un posto in astronave, o qui in una macchina del tempo, e dentro alla schermo c’è anche la mia vicina di posto che non lesina in fotografie con l’accortezza di scattare con la luminosità del telefono pressoché azzerata. Dicevamo del viaggio nel tempo, la grande ed efficace trovata di Avengers: Endgame. Andare a recuperare le gemme finite incastonate del pugno di Thanos per poter cambiare il corso della storia poi vissuta. Va bene, sembra Ritorno al futuro, ma come sempre sceneggiatori e produttori dell’universo Marvel riescono a ricuocerti la stessa minestra in modo che sembri nuova (e qui l’espediente dell’universo quantico non è male).

L’ideatore dell’espediente è Ant-Man (Paul Rudd) – tra parentesi: ovazione – mentre il prodotto finito per viaggiare nel tempo viene ultimato non senza bisticci tra Iron Man (Robert Downey Jr. letteralmente trascinatore) e Hulk (Mark Ruffalo). Così la famiglia si divide in piccoli gruppi e ognuno in luoghi diversi tra il 2012 e il 2014, con  incursione nel 1970 (Stan Lee cameo: applausi per un minuto lunghissimo) prova a recuperare il materiale per modificare la storia. Badate bene: così la terra non verrà distrutta, ma Thanos non lo ritroveremo certo in campagna ma vivo guizzante e vegeto. Intanto il reclutamento di Thor, ridotto con panza e barbone lunghissimo, chiaramente vestagliato e iconicamente rivolto al Grande Lebowski, è un altro apice della risata in sala collettiva, fragorosa, pienissima. Che si ripete di continuo ogni qualvolta il ragazzone del regno di Asgard torna in scena, quasi sempre in ciabatte.

La parte centrale, il ritorno quantico al passato, sarà sì narrativamente risolutiva ma è anche quella un po’ più debole, più frammentaria, quella in cui si sente il fiatone delle tre ore e un minuto di durata. Quella in cui riappare Robert Redford e il silenzio della sala è chiaramente quello riservato ad una comparsa qualsiasi. Questione cultural-anagrafica, ma nemmeno tanto. Età media al primo spettacolo Avengers:Endgame: 18/20 anni. Tanti papà con figli, tanti trenta/quarantenni con t-shirt Marvel, tanti gruppetti da quarta/quinta superiore. Gruppetti misti uomo/donna, ma soprattutto mescolati in un pazzesco melting pot cinese-arabo-afro-slavo da riuscita integrazione sociale che, ovviamente, può essere letto sia come una naturale e logica festa dei tempi, sia come il più grande risultato del capitalismo industriale hollywoodiano. Ad ogni modo Avengers: Endgame è il ventiduesimo film di una lunga saga, un franchise che ha punti già ben delineati di una costellazione d’avventura e di azione, di vita e di morte, di giustizia sociale e di malinconia individuale. Il riverbero di questo continuo dualismo soggiacente in ogni singolo personaggio è praticamente in ogni singola sequenza, condito da un umorismo leggero e adolescenziale che deve molto ai primi capitoli di Star Wars ma ancora di più alla spettacolare eccentricità di un Indiana Jones. Poi chiaro, qui siamo nel regno del CGI, di una composizione dell’immagine praticamente tutta in post produzione che sa di fantastico e perfetto ben oltre trama, racconto e girato. E in questo Avengers:Endgame probabilmente supera ogni suo precedente avo. La battaglia epica sul finale nel campo-cratere si mangia in un boccone gli scontri militari eterni e ripetitivi de Il signore degli anelli, sfodera un’alleanza dei buoni contro le forze del male apparentemente elementare (ricordate il Superman di Lester?) ma obiettivamente coinvolgente e totalizzante. E tutta rigorosamente registrata in almeno tre quattro video sullo smartphone dalla mia giovane vicina di posto.

Già perché se uno non ha mai visto i precedenti titoli Marvel non deve temere l’incomprensibilità del delirio di sottotrame. Avengers:Endgame viaggia autonomo e solitario come fosse davvero un film di per sé e in sé compiuto. Basta un cenno per indicare il sentimento tra Hawkeye e Black Widow, basta pennellare una breve sequenza per capire dell’incandescenza improvvisa di Hulk, dell’acerbo affanno del parvenu Peter Parker/Uomo ragno, o della determinazione affascinante dell’eroina Captain Marvel (Brie Larson davvero bella). La sfilata dei gioielli di famiglia, infatti, c’è tutta. Anche se la quadratura del cerchio glamour avviene solo negli ultimi 40 minuti e con l’eco rivoluzionario e definitivo black power proveniente da Black Panther. C’è infine un discorso sul materiale scivoloso dell’evocazione del pathos. Quel qualcosa che ha realmente portato agli occhi lucidi l’intera platea della multisala del 24 aprile, così come gli spettatori della prima mondiale a Los Angeles come testimoniato sui social. Diversi supereroi tirano le cuoia. E quando a dirci addio è uno grosso, ecco che invece della solita evocazione tutta autoreferenziale ti ritrovi una scrittura asciutta, dettagli precisi, recitazione (non diciamo l’attore) contenuta e parca, davvero da applausi. Avengers: Endgame trascina emozione e raziocinio, cinefilia e divertimento. Sarà un pacchetto studiato a tavolino con precisi studi di mercato e target, però funziona da dio. E soprattutto visto che rispetto al cinema d’essai e alla saletta del centro storico, questo sembra un pubblico di un altro mondo, più spensierato e giocherellone, speriamo solo che anche uno decimo di questi ragazzi torni in un’altra qualunque sala con quello stesso entusiasmo a vedere un qualsiasi altro film. Alla sala cinematografica ci teniamo tutti. Anche per vedere gli Avengers.