Ambiente & Veleni

Maiali rinchiusi e mutilati, continua l’orrore negli allevamenti italiani. È ora di dire basta

In Italia, il settore dell’allevamento industriale di maiali è spesso tristemente noto per vicende di maltrattamenti brutali ai danni degli animali. Essere Animali ha contribuito di recente a denunciare casi di eclatante violenza come quello verificatosi nell’“allevamento degli orrori” a Senigallia (An), dove i nostri investigatori hanno registrato l’uccisione di una scrofa a martellate.

La nostra nuova indagine, diffusa ieri, ha l’obiettivo di svelare gli aspetti più problematici e diffusi all’interno degli allevamenti intensivi italiani – inclusi quelli in cui i suini sono destinati al circuito Dop e a marchi rinomati in tutto il mondo – dove 9 milioni di maiali e 500 mila scrofe vivono in critiche condizioni. Infatti, il lavoro svolto dai nostri investigatori in numerosi allevamenti del Nord e Centro Italia dimostra che pratiche crudeli, quali il confinamento delle scrofe in gabbia e le mutilazioni dei suinetti, non sono episodi isolati ma un problema strutturale che coinvolge l’intera industria alimentare.

La gravità della situazione è tale da richiedere un intervento immediato. Per questa ragione abbiamo lanciato la campagna #SOSpig rivolta alla grande distribuzione organizzata (Gdo) affinché le catene di supermercati abbandonino le terribili pratiche che abbiamo documentato nella nostra inchiesta e inizino a influenzare una importante modifica strutturale degli allevamenti.

Nella maggior parte degli allevamenti, infatti, le scrofe sono costrette a incessanti cicli di riproduzione e a conseguenti periodi di stabulazione che ammontano a più di un terzo della loro vita. Durante la prima fase di gestazione, il parto e l’allattamento sono rinchiuse in gabbie così anguste da impedire loro qualsiasi movimento, contrariamente a quanto predisposto dal D.Lgs. 7 luglio 2011, n. 122 (attuazione della direttiva 2008/120/CE, che stabilisce le norme minime per la protezione dei suini). Per quanto la legge consenta la stabulazione delle scrofe nei tempi previsti, contestualmente sancisce che gli animali debbano avere sufficiente spazio per muoversi liberamente.

Le scrofe nelle gabbie di gestazione, tuttavia, riescono a malapena a coricarsi su un fianco o compiere qualche passo in avanti e indietro. Lo sfregamento continuo contro le sbarre di acciaio provoca ferite a rischio di infezione, che si sommano ad altre complicazioni fisiche come l’insorgenza di zoppie e la fame cronica. I risvolti della stabulazione durante la gestazione sono seri anche sul piano psicologico: le scrofe spesso manifestano comportamenti stereotipati, oltre a mostrare profondi stati di apatia.

Nelle gabbie parto, invece, le madri danno alla luce i cuccioli su grate spoglie e sprovviste di arricchimenti ambientali basilari come la paglia, la cui assenza, inoltre, impedisce loro la possibilità di compiere un’attività naturale come la nidificazione. In aggiunta, il rischio di schiacciare i suinetti è alto poiché le scrofe, impossibilitate a muoversi, non riescono a compiere dei movimenti circolari finalizzati ad allontanarli prima di coricarsi.

I suinetti di appena pochi giorni di vita sono sottoposti a orribili e dolorose mutilazioni effettuate, nella maggior parte dei casi, senza l’utilizzo di anestesia e analgesia. Come il taglio sistematico della coda, una procedura illegale nell’Unione europea dal 1994, ma attualmente praticata nella quasi totalità degli allevamenti intensivi italiani. È stato dimostrato che non riduce il rischio di cannibalismo, un fenomeno che potrebbe essere limitato fornendo gli arricchimenti ambientali necessari e previsti per legge.

I suinetti maschi, inoltre, sono soggetti anche alla castrazione chirurgica per prevenire l’odore di verro nella carne. Si tratta di un’operazione che la Federazione dei veterinari europei (Fve) ha contestato in quanto causa di profondo dolore fisico e alterazioni comportamentali. I nostri investigatori hanno più volte documentato operazioni illegali, praticate senza anestesia e analgesia in maialini con più di sette giorni di vita da operatori dell’allevamento e non da veterinari specializzati, come invece previsto dalla legge.

Di fronte a questa situazione critica, è necessario agire per avviare un cambiamento concreto. Per questo ci rivolgiamo alle catene di supermercati poiché, grazie al loro potere di acquisto, possono avere un ruolo decisivo nell’influenzare i metodi di allevamento della propria filiera produttiva. Il ruolo di noi consumatori, di conseguenza, è duplice. Da una parte è fondamentale per spingere la Gdo a intraprendere questo percorso firmando la petizione e sostenendo la campagna, dall’altra può essere ancora più importante, quando scopriamo come vengono allevati e macellati questi animali, capiamo che sono esseri sensibili e intelligenti tanto quanto il nostro cane o il nostro gatto e, di conseguenza, iniziamo a farci delle domande sulle nostre abitudini alimentari.