Società

Terza età, osservando gli anziani di oggi mi sono chiesta: ma noi che vecchi saremo?

Sappiamo ciò che sono gli anziani di oggi: silenziosi ascoltano con attenzione. Sono abituati ad aspettare i tempi altrui di chi si occupa di loro. Mangiano quello che viene loro dato senza troppe proteste. Come in collegio si coricano quando normalmente noi ancora lavoriamo. Non hanno pretese e vivono nell’attesa dell’arrivo di qualcuno di familiare. Il passare del tempo ha tolto loro la padronanza dei movimenti, ciò che li rendeva liberi. Ma nonostante questo restano profondamente liberi dentro.

Sono abituati a sopportare e non lamentarsi perché molti sono figli della guerra durante la quale anche il pane duro era una leccornia. La loro resistenza alla vita (molto più pratica è autentica della nostra resilienza) è fatta di profondi valori, condivisibili o no ma pur sempre valori. Sono l’ultimo baluardo di una economia anche basata sul risparmio. Quello che oggi non esiste più: un po’ perché il costo della vita è alto e gli stipendi bassi ma anche e soprattutto perché questa è l’epoca liquida che disincentiva il risparmio surclassato dall’acquisto a tutti i costi e con tutti i sacrifici.

Loro i sacrifici li hanno fatti per poter costruire qualcosa per il domani e il dopodomani. Non hanno la smania di parlare o comunicare sempre e in ogni momento con qualcuno. Sanno vivere di lunghi silenzi. Come riportato in un articolo de Il Sole 24 ore “nel 2017 il 35% della popolazione italiana aveva più di 65 anni, cinque punti percentuali sopra rispetto alla media europea. Complessivamente in 20 anni la percentuale di europei anziani è passata dal 22,5% della popolazione, al 30%“.

Numeri a parte osservare le persone anziane è anche chiedersi che vecchi saremo noi, abituati a rimanere sempre connessi, a sentirci persi se capitiamo in un luogo senza Wi-Fi. Abituati a ottenere tutto subito smanettando in Rete. Scarpe o cibo non conta, c’è sempre qualcuno che a tutte le ore del giorno e della notte (non importa a quale costo) soddisferà la nostra voglia quotidiana a misura di carta di credito. Come sarà la nostra vecchiaia rispetto alle proiezioni mediche e sanitarie dei prossimi decenni. In un Paese – unico al mondo – ad avere il diritto della cura nella Costituzione ma la cui politica odierna considera la sanità ancora (per poco) la “vacca grassa” alla quale attingere e da cui drenare denaro.

Secondo le stime, nel 2030 gli anziani con almeno una malattia cronica grave saranno 8 milioni, di cui 5 milioni disabili. Oggi basta andare in un pronto soccorso per capire quanto il Sistema sanitario sia in sofferenza, in particolare proprio per la massiccia presenza di anziani. Richiamando i recenti dati Eurostat, “l’Italia è il Paese con il più alto tasso di over 65 rispetto alla popolazione di età compresa fra i 15 e i 64 anni”. Il vecchio per lo Stato resta un costo superfluo: persa la sua autonomia di poter essere un elemento attivo di welfare familiare come baby sitter a costo zero o fondo cassa per le attività extra scolastiche dei nipoti.

Certo noi, possiamo sempre aggrapparci all’idea che Ras (un robot per la casa intelligente creato da un gruppo di ricercatori americani), potrà cambiare la nostra vecchiaia e che dunque fotocamere in casa, sensori e un’interfaccia tablet potranno svoltare la nostra autonomia domestica. Tutto può essere.

Ma intanto noi, che vecchi saremo?

e.reguitti@ilfattoquotidiano.it