Cinema

Basta scene troppo hot: arrivano i censori del sesso. Un po’ come avere una suora sul set

Da qualche mese sulla bara del cinema è stato conficcato un altro chiodo. Si chiama intimacy coordinator ed è letteralmente un consulente che aiuta gli attori ad affrontare le scene di sesso nei film e nelle serie tv. Il metodo è quello denominato intimacy for the stage e le principali professioniste del settore si chiamano Alicia Rodis e Ita O’Brien. In pratica i coordinatori dell’intimità fanno due cose:

1. dirigono workshop per attori in cui, come scrive oggi il quotidiano Repubblica, “attori e attrici si abbracciano e si toccano con le loro immagini riflessi sugli specchi alle pareti”;
2. dall’altro seguono passo passo tutte le scene delicate previste negli script e si mettono a confabulare con registi e produttori sui set suggerendo che “la mano sul culo è meglio di no”, “c’è troppa violenza in quello schiaffo”, “la palpata sul seno è esagerata”, e via dicendo.

Insomma è un po’ come avere sul set una suora carmelitana o un frate gesuita o finanche Mario Adinolfi a dettare le regole “d’ingaggio” nel registrare rapporti fisici/corporei tra uomo e donna (donna/donna e uomo/uomo, sia mai). Chiaro, fermo restando gli eccessi libidinosi, le prevaricazioni dei singoli, e perfino le minacce di registi/produttori (leggasi Weinstein) per il lavoro a venire, qui siamo davvero ben oltre la censura dell’espressione creativa.

Immaginate cosa potrebbe accadere in un film di Lars Von Trier, di Paul Verhoeven, di Abdetallif Kechiche o cosa sarebbe potuto succedere in capolavori di Luis Bunuel, Tobe Hooper, Dario Argento. Immaginate cosa avrebbero potuto inventarsi la Rodis o la O’Brien sui set di Basic Instinct, in quello di Nymphomaniac, in quello di Bella di giorno? Sarebbero venute lì con fare mellifluo e “attento Paul quel punteruolo non si usa”, “ehi Lars lo scudiscio sulle chiappe no”, “Luis per cortesia il frustino sulla schiena della Deneuve non si fa”.

Certo, qualcuno arrivato fino a qui mi segnalerà la Maria Schneider di Ultimo tango a Parigi. Bene, bravi, bis. Signori, ve lo ricordo ancora una volta: il cinema è finzione, fantasia, trasformazione di una presunta realtà in artificio. Se gli togliamo la spontaneità, l’autenticità, e finanche l’improvvisazione (così ci affianchiamo al celebre burro bertolucciano) letteralmente lo castriamo e lo rendiamo impotente.

Oramai però la frittata è fatta. Hbo e Netflix se non hanno un intimacy coordinator sui loro set pare non stiano bene (e si vedono i risultati). O’Brien & co. sciorinano perfino vademecum come leggi bibliche: terza persona presente alle prove, accordo preventivo sulle aree di contatto fisico e nudità, come sulla coreografia completa degli atti sessuali. Insomma, una dottrina da ayatollah sugli atti impuri che fa impallidire le battaglie libertarie degli anni Settanta su cosa mostrare e far vedere al pubblico. Con un codino oltretutto paternalista sulla figura dell’attore e delle attrici, trattati come minorati psicofisici, incapaci di intendere e volere. Qualcuno li/le fermi, per cortesia, prima che la narcolessia travolga anche l’ultimo spettatore rimasto.