Musica

Sanremo 2019, Eros Ramazzotti tamarro ma senza eccedere: “Faccio politica con le mie canzoni”

Eros vince Sanremo nel 1983 con il Ramazzotti manifesto: Adesso tu. Sfodera una giacca con spalline azzurre a manica corta che nemmeno al mercato degli stracci, ma questa sua aria tra il tossico e lo spavaldo convince giuria e pubblico che lo incoronano vincitore. Ora torna su quel palco come superospite

“Nato ai bordi di periferia, dove l’aria è popolare, dove è più facile sognare”. Eros Ramazzotti, uomo da 60 milioni di dischi venduti nel mondo, è uno che ce l’ha fatta. Le biografie delle celebrities spesso si somigliano. Il braccio meccanico della sorte che li agguanta da adolescenti in mezzo a mille altri e li trascina sul palco della notorietà. Lui, che è nato a Cinecittà, non è proprio il disperato di provincia che emerge dal fango. Eppure in quel lontano 1984, quando Eros di anni ne ha 21, sembra uscito da quelle narrazioni lì, liminari, borderline. “Una terra promessa, un mondo diverso”. Nuove Proposte, Sanremo ’81. Playback da paura per tutti. La differenza può farla proprio la presenza in scena, la postura, l’abbigliamento. E Ramazzotti si presenta come un ragazzetto che vorrebbe sfondare, che sogna l’America. Tempie rasate quasi a zero e ricciolini d’oro con gel. Vince nella sua categoria.

L’anno dopo si ripresenta in gara tra i big con Una storia importante. Giubbetto di jeans abnorme spalancato su camicia chiara e cravatta leopardata penzolante. Tamarro ma senza eccedere. Cucciolo abbacchiato dallo sguardo malinconico. Eros vince Sanremo l’anno dopo con il Ramazzotti manifesto: Adesso tu. Sfodera una giacca con spalline azzurre a manica corta che nemmeno al mercato degli stracci, ma questa sua aria tra il tossico e lo spavaldo convince giuria e pubblico che lo incoronano vincitore. Il testo è poetica ramazzottiana pura che si perpetuerà nei secoli di successo internazionale a venire. La fatica di vivere quando nessuno ti aiuta, l’ “andare avanti senza voltarsi mai”, e poi l’appiglio che salva dall’affogamento. Ci sei adesso tu. L’invocazione ramazzottiana al quadrato. I 45 giri crescono subito come funghi. Finiscono tradotti ovunque. In certi momenti (’86), Musica è (1988) e In ogni senso (1990) sfondano il muro del suono.

Ramazzotti in pochissimo tempo ha salutato la periferia. Ha annullato le origini ed è diventato una star. Lui romano di fede juventina, quando nel 1998 lo Stadio delle Alpi diventa come il Bob’s Country Bunker dei Blues Brothers sospende il concerto con il bassista dolorante per aver ricevuto una monetina in testa, e dà al colpevole del “pirla granata”. È l’apice della carriera. Vive a Milano in mezzo a decine di automobili di lusso e motociclette, e intanto al Pineta di Milano Marittima incontra la ragazza del “culetto Roberta” che balla nella zona vip e dopo un paio d’anni la sposa al famigerato castello Orsini-Odescalchi di Bracciano con Tina Turner che canta tra 500 invitati di lusso. Eppure da questo intreccio di showbiz, cuori infranti e album da fare, in Ramazzotti si spezza qualcosa. Gli album Stile libero e 9 non sono all’altezza dei precedenti e nemmeno l’enorme mercato sudamericano lo risolleva da un momento di crisi artistica e sentimentale. Michelle Hunziker lo lascia nel 2002 (parecchio tempo dopo sapremo che la causa è la famosa setta…) ed Eros inanella lavori senza più quella scintilla, quel pathos, quell’ansia di allontanarsi dai bordi di periferia.

Troppo anonima la vertigine del successo, troppo contraddittorio l’equilibrio tra dare a avere nel mondo dello spettacolo. Nel bel libro – Eros Lo giuro (Mondadori)-  che Luca Bianchini nel 2005 ha scritto su di lui, seguendolo ovunque, da Los Angeles a Milano, incontrando il padre, Biagio Antonacci e la figlia Aurora, ne esce il ritratto di una star dissoluta e grintosa, rabbiosa e tenera, che si apparta con amiche e poi imita in inglese maccheronico Ray Charles canticchiando la melodia pronta dei brani mentre è ancora alla ricerca di un testo. “Vorrei che le mie canzoni, anche se il mondo fa schifo, lasciassero un messaggio di speranza. Con questo non dico che uso le canzoni per fare proclami o chissacché. Dico che questo è il modo di ‘fare politica‘: usare la musica per trasmettere buonumore, per dare la colonna sonora a un ricordo, per aiutare due ragazzi a darsi un bacio. Di più non posso fare”.